Vincenti e perdenti

Siamo tutti convinti di conoscere perfettamente la differenza tra periodo di guerra e periodo di pace.
Ma da un po’ io non ne sono più molto sicura. La differenza mi è diventata difficile da vedere.
La guerra, un tempo prevedeva: un’aggressione per degli interessi, un aggredito e i due eserciti in opposizione, più eventuali alleati con il loro tornaconto.
Ora, noi siamo tutti pronti a maledire Mussolini per essersi accodato a Hitler e invece ad innalzare agli onori e alla gloria Camillo di Cavour per essersi accodato alla Francia.
Ma anche adesso ci accodiamo a qualcuno, no?
Siamo accodati allo Zio Sam, all’esercito USA che, per l’appunto, ci usa e ci sposta dove gli pare. E il nostro tornaconto? Morti ammazzati, la crisi economica che ci piove come fossimo colonie Americane e il resto dell’Europa che ci snobba, perché altri immigrati non ne vuole. E due ragazzi incastrati in India, che da due anni non vedono le loro famiglie.

Noi siamo in guerra, ma non per nostro tornaconto né per nostra scelta; se ne avessimo un vantaggio, non staremmo tutti a lamentarci, o sbaglio?
Dunque, quando mi vengono a parlare di tempo di pace e di guerra, io penso ad una lunga serie di passaggi intermedi, che vanno dalla neutralità assoluta (vale a dire non mandare neppure un proiettile a combattere) alla guerra totale, casa per casa, tipo nei Balcani, fino alle visioni apocalittiche tanto care ai film pacifisti.

Ricordo che quando iniziò la guerra in Iraq contro Saddam Hussein, tanta, tantissima gente si ricordava perfettamente dei tempi della fame e delle ristrettezze. Così ci fu un vero e proprio assalto ai supermercati, per la paura che, partecipando ad una guerra, sebbene come scagnozzi subalterni dei subalterni, le conseguenze ci sarebbero piovute in testa sotto forma di bombe come l’ultima volta.

Per fortuna o per disgrazia, qui in Italia ci sono basi NATO un po’ ovunque, e gli Americani qui si sentono i padroni di casa, disinvolti anche senza sapere una parola di Italiano. Così per proteggere quelle basi, probabilmente siamo protetti anche noi.

Ma è da allora che mandiamo i nostri ragazzi un po’ qua e un po’ là nel mondo, appresso alle stelle e strisce, con la storiella di portare la pace.

Questa storiella piace tanto agli Americani, che se la ripetono e se la cantano, fino a crederci davvero, mentre a noi arriva propaganda sotto forma di film, fumetti e tanto altro. La propaganda di guerra riceve cospicue sovvenzioni da parte dello Stato, in America: basta che appaiano delle uniformi.

Tutti conosciamo Capitan America, ma in pochi sanno che esiste, in varie versioni per di più, anche un Capitan Italia…

Con la scusa di portare ora la civiltà, ora la pace, ora il benessere, arrivano e spadroneggiano, come se perfino la Luna stessa appartenesse all’America, come amavano dire i filmini per le scuole negli anni ’50…
La loro arroganza è ben mascherata dai grandi ideali, dall’entusiasmo di una gioventù coltivata alla gara e imbottita di pregiudizi sulle categorie sociali e sulla leggenda del Perdente e del Vincente.
Essere vincenti o perdenti presuppone che tutti si parta dallo stesso livello, non importa se uno vale 10 è l’altro vale 100;  presuppone che tutti si abbia le stesse opportunità. Allora, se tutti saranno parificati, dipenderà solo dalle forze e dall’impegno di ciascuno il successo il fallimento nella vita.

Ma veramente gli USA sono questo paradiso di opportunità che vogliono da sempre far credere al mondo?
Tutti abbiamo visto i Simpson, e conosciamo bene Homer che grida a casaccio “USA! USA!”, quando ha ragione e soprattutto quando ha torto; tutti leggiamo libri e vediamo film sui quartieri popolari, dove la legge arriva fino ad un certo punto, e la sopravvivenza non è un termine colorito ma la realtà.
Dunque non possiamo acquisire questo modo di pensare che taglia a metà l’umanità intera come un bimbo fa alla lavagna con “bravi” e “cattivi”. Una divisione così è infantile.

Più che altro vale la regola che chi vince ha ragione, chi vince decide la storia, chi vince scrive i libri e i racconti a propria immagine.
Anche quando ha torto marcio; anche quando ad Obama danno il Nobel per la pace e anche quando il mondo è andato economicamente a catafascio per colpa sua.

Insomma, gli USA sono notoriamente il Paese più bellicoso al mondo. Partono adesso le sanzioni per la Russia. Ma stiamo scherzando?
Cosa vogliamo sequestrare alla Russia? La neve? Le balalaike? Le lettere in cirillico?
E noi perché dovremmo inimicarci uno dei pochi Paesi europei che ancora ci rispetta?
L’Italia non è energeticamente indipendente; i nostri interessi sono diversi da quelli del ‘padrone’.
E invece di mandare qualche testa di cuoio a liberare i marò, dobbiamo metterci in coda, ad aspettare nuovi ordini e ad approntare nuova gente da sacrificare.

Dunque non vedo più una divisione così netta tra guerra e pace; facilmente, prima del 1990, anno della guerra contro Saddam, la pace vera c’è stata.
Non mi pare che abbiamo mandato i nostri nella guerra tra Iran e Iraq. Di prima non so niente, non c’ero…
Poi di colpo a molta gente venne il panico, perché aveva visto un mondo più serio, dove chi mandava i soldati era in guerra veramente.

Adesso tutto si è sfumato.

Nei TG raccontano escluisivamente cronaca, sbattuta in faccia alla gente con un tono da giornale scandalistico e con toni “carnosi” quasi imbarazzanti, molto simili al pornografico, titolati in modo che tutti si salti sulle sedie al solo sentirli!

Le vicende della guerra ci vengono poste in modo maldestro, tagliato, incompleto. Tutto fatto apposta per non farci sapere la verità e tenerci buoni per il ‘padrone’.

Ci riportano delle scappatelle del politico straniero, delle battute scientemente scomode di Berlusconi, e invece di rispondergli “Taccia lei che è in agonia!” tutti si scandalizzano… come se fossero davvero queste le cose importanti.
Un tempo a pochi gossippari pettegoli importava delle avventure più o meno squallide del politico o del nobile da rotocalco. Ma finiva lì.
Ora paiono tutti voler fare i moralisti, e si sente sempre nell’aria “Che tempi, signora mia!”.

Già, che tempi. Ma non per l’immoralità, ma per la mancanza di una regola umana.
Vince chi la spara più sensazionale, non importa il contenuto; vince chi si erge sugli altri per mostrare la propria integrità, e non importa se ha speso 200 euro di paste al bar o di mutande verdi o di squllo di lusso, e le ha messe in conto al partito.

C’era una canzone di P!nk che diceva che “non è facile vivere durante la Terza Guerra Mondiale”.
Beh, forse lei Americana sapeva già allora cose che scopriamo solo adesso.

Noi siamo le colonie e possiamo essere intercettate senza ribellarci; possiamo accettare che le nostre informazioni private e sensibili siano al vaglio del Grande Fratello Americano. Viceversa no, eh eh, perché loro lo fanno per la libertà e per i grandi ideali… già: i PROPRI.

Noi siamo quelli che festeggiano il fatto di aver perso la guerra con il nome di Liberazione.

Liberi di muoversi. O no?

Quando si dice “avere un limite”, non è per fare i fighi e ostentare una chissà quanto dura educazione. È importante sapere dove sono i confini, per essere consapevoli di quando li si supera, perché, perché sì o perché no.

Un’idea per impedire alla gente di bere fino a tarda notte disturbando sotto le case della gente? Delimitare uno spazio, rendendolo “alcool free” da un’ora all’altra.
Vi sembra un’idea sensata? Impedire un’azione in una porzione circoscritta di spazio è un’idea pazzesca, che peraltro non risolve il problema: chi metti a sorvegliare i cento o duecento metri quadrati perché la norma venga rispettata?

Dall’alto decidi che in un determinato luogo un’azione diventa punibile. Roba da medioevo.

Piuttosto che inventate leggi sciocche che lottano contro i vizi, si dovrebbe mettere in giro, fuori dagli uffici, i cosiddetti “poliziotti di quartiere”. Essi conoscerebbero le persone, le facce della strada e quelle nuove, e costoro non avrebbero difficoltà a capire quando il problema è un bicchierino di troppo oppure qualcosa di più serio.

A proposito di “serio”: generalmente, quando si parla di una lite fra due (Italiani o stranieri che siano, il che è sempre specificato con morbosità da giornalazzo da barbiere), al Tg ci tengono sempre a specificare che tutto è iniziato a causa di FUTILI motivi.
Mai che si dica che i due si sono dati di mano per motivi seri e sacrosanti, giustificabili e legittimi.
Sono sempre motivi futili, come se in mezzo alla via due si incrocino e senza dirsi niente comincino a menarsi.

Un futile motivo può dare il via ad una reazione a catena che porterà a qualcosa di serio, o magari è la classica goccia che fa traboccare il vaso. Chi vi autorizza a giudicare futile o serio quello di cui non avete idea?

E ora, tanto per tornare a bomba sull’argomento. Avete sentito? Ci hanno preparato: ottocentomila persone in attesa di arrivare in Italia.
Ottocentomila.
Diamine: una popolazione che cambia la faccia di una città, come minimo.
Con la scusa di fare del bene, li portiamo qua, per tenerli un anno dentro ai centri accoglienza traboccanti, per farne manovalanza alla malavita, per far fare concorrenza a chi un lavoro non ce l’ha ed è rincorso da sanguisughe e truffatori minacciosi.

Ma se proprio li vogliamo, perché non mandare loro un bel traghetto, a prezzo accessibile (alla faccia degli scafisti e dei loro prezzi esorbitanti), e li portiamo tutti qua, comodi, accompagnandoli poi al confine che più gli piace?
All’Europa fa comodo che tutti i disperati vengano da noi, così ce la dobbiamo sbrigare da noi.
L’Europa è un altro di quei club esclusivi dove le rogne non si dividono, ma si rifilano allo sciocco del gruppo, mentre i guadagni sono sempre tra i quattro soliti.
Una fetta di quei migranti, specialmente di quelli morti in mare, è sulla coscienza dell’Europa: la Francia che chiude i confini e fa la gnorri, tanto per dirne una.
Una fetta di responsabilità per chi muore a causa di assassini disperati che non hanno niente da perdere e sfogano su di noi la loro follia è anche di quelli ‘lassù’.

A loro piace vedere un’Italia sempre più povera, sempre più somigliante a quella del diciannovesimo secolo, piena di predoni e di briganti, e con monumenti ed arte che vanno in malora?
Con buona pace dei ministri dei beni culturali, archeologici, enti impronunciabili e garanti vari ed eventuali.

Non era questa l’idea che avevo, quando in terza elementare mi facevano cantare una stupida canzone che diceva: “Noi formiamo l’ideale di un’Europa tutta unita”.

Poi uno non fa bene ad isolarsi: con amici come questi, che te ne fai dei nemici?

Ma qui sto a parlare di fatti di persone. Quando il limite non ce l’hanno neppure le istituzioni, davvero l’eco di “1984” di Orwell mi fischia nelle orecchie, davvero mi vedo immersa fino alla punta dei capelli in “Brazil”.
Non è fantascienza. Ci siamo già.

Io sindaco decido, dall’alto di un’autorità che non ho ma che probabilmente mi viene da Dio e mi è concessa da una popolazione con le anime allo stremo, di non far circolare mezzi con due ruote da qui a qui. E chi ha una bici o che possiede solo una moto si arrangerà. Intanto ho trovato un nuovo mezzo, l’ennesimo truffaldino, per fare soldi, e c’è sempre qualcuno che pagherà, anche se avrebbe il sacrosanto diritto di denunciarmi.

E, giusto per parlare di mezzi e automezzi, vi racconto cosa è successo ad una persona che conosco, ma scriverò come se fosse successo a me; si parla di automobili, e la mia scasso-mobile non ha a che fare con la tecnologia, se non quella dei cavalli vapore di Henry Ford. Ma per poter raccontare chiaramente la portata della faccenda, parlerò in prima persona.

Orbene, stavo viaggiando su un’auto usata ma tenuta in ottimo stato; non nuovissima, certamente, ma aveva il suo impianto CD e una serie di chicche deliziose, spesso facili da trovare nelle auto di marca Francese.

Ad un tratto il computer di bordo, che controlla tutto, mi dice che qualcosa nei programmi non va. Mi invita pertanto a fermarmi e a provvedere.
A me basta che il motore cammini e che i freni funzionino, così prendo atto della cosa, e continuo ad andare.
Il messaggio continua ad insistere, e viene ben presto affiancato da un ordine perentorio: ferma l’auto.
Come? In mezzo all’autostrada? In mezzo ad un via vai di mezzi pesanti in corsa? Ma sei scemo?
Il motore allora si spegne da solo, e la macchina inizia ad andare per inerzia e grazie alla pendenza della strada.
I freni non funzionano. Le luci si sono spente, il clacson è muto.

L’unica è non andare in panico ed affidarsi alla pendenza e al buon vecchio freno a mano, sempre meccanico e non computerizzato… e per fortuna!
Alla prima piazzola inchiodo e mando un messaggio disperato all’elettrauto. Che arriva dopo un po’, fa un abracadabra digitale, e la macchina riprende all’improvviso tutte le sue funzioni.

Ma chi ha progettato la deliziosa auto, si è preoccupato di mettere un vano apposta per gli occhiali e la chiusura automatica dei cristalli in caso di pioggia, ma non ha pensato che permettere al computer di insinuarsi anche dove non gli compete leva spazio alla volontà dell’utente. Il contrario di una comodità. Ed è un pericolo serio per la sicurezza.
Quando uno ha un’auto, vuole che cammini e che reagisca agli ordini di direzione e di movimento, nonché di frenata, e che magari faccia luce durante la notte.
Che senso ha dare la precedenza al computer e le sue bizze, quando l’auto ha il serbatoio pieno ed è in perfette condizioni?

Quando guido, vorrei decidere io se fermarmi e quando, non deve venire un anonimo caccaviello elettronico ad impormi questo o quello, no?

Qualcuno dall’alto pensa sempre di stare agendo per il bene supremo dell’utente ultimo e che le proprie decisioni siano sempre le più sagge del mondo, perché dettate dalla propria profonda voglia di amare il prossimo.

Non sanno che è tutta teoria: puoi sentire in cuore l’amore più grande del mondo, ma risultare una pessima persona o non essere in grado di comunicarlo. Gli adulti dovrebbero saperle queste cose. Ma la riflessione non è più di moda; fingere di sapere che differenza c’è tra sogno e realtà non ti rende automaticamente in grado di sapere esattamente cosa stai facendo e le conseguenze dei tuoi atti. Quando si progetta qualcosa, si dovrebbero tenere in conto queste cose.

Peccato che il progetto venga fatto DOPO aver deciso cosa fare, e quando l’opera è fatta, DOPO si decide cosa farne. E nella gran parte dei casi, resta incompiuta e risulta come un’altra cattedrale nel deserto: una discarica, un deposito di materiali, un ricovero per senza tetto e disperati vari.

Quando ho un oggetto tra le mani, vorrei che esso eseguisse i miei ordini, non che esso mi comandi. E la tecnologia non deve essere per forza ottusa: l’essere umano che la progetta può farla diventare capace di essere un ottimo compagno di viaggio, non un passeggero in competizione, rompiscatole e incapace di ascolto.

Colpevole, fino a prova contraria

Ora cominciano i Campionati Mondiali di calcio, ma, come avrete notato certamente, già sono cominciate le polemiche: costruire enormi stadi ed impianti al fianco delle favelas? Ah, che orrore!

Personalmente non mi piace il contrasto tra la ricchezza e la povertà, e vedere delle modernissime strutture affiancate a baracche sovraffollate fa un certo effetto.
Ma, potrete convenire con me, chi abita in grandi città questo lo vede ogni giorno: il barbone che dorme sotto i monumenti, i turisti che si devono destreggiare tra gli ambulanti, e nessuno che parli Italiano, per non parlare dei condomini, dove porta a porta abitano le più diverse famiglie.
Dietro ad un uscio si può sentire la TV accesa, il tintinnare dei piatti, gente che ride e che scherza, mentre dietro quello di fronte regna il silenzio, quando non ci sono grida che gelano il sangue.

Non è colpa delle città, non è che radiamo al suolo Napoli o Milano perché gente di mondi differenti si trova a vivere a stretto contatto.

Inoltre, permettetemi anche una piccola riflessione: piuttosto che impedire la costruzione di impianti nuovi che attireranno denaro e ricchezza, per non parlare di pubblicità, non è il caso di impedire la costruzione di nuove baracche e di salvare il salvabile, per migliorare la vita di coloro che già sono poveri?

Vedo commenti, sento polemiche: certi personaggi grigi, alla Monti, se la prendono con il calcio.
Se la prendono con il divertimento e la distrazione.
Secondo il loro metro, non è la povertà il problema, ma che la gente voglia evitare di pensarci per un po’, divertendosi.
Come se dimenticare per un attimo le tragedie del mondo equivalesse a ignorarle per sempre.
Allora il problema pare essere lo spasso, il divertimento, anche e soprattutto quello sano: come, tu osi scientemente scegliere di vedere il calcio, mentre sull’altro canale c’è la vita disgraziata dell’immigrato del quartiere!?

Non è il calcio il problema. E la vita dovrà continuare, magari in maniera vivibile, se non è chiedere troppo.

Per quel che mi riguarda, il mio sogno segreto, uno dei tanti rimasti tali (sogni e segreti) è sempre stato adottare bambini, sia qui che a distanza. Ma non avendo due soldi in tasca e dovendo stare ancora a parassitare sulle spalle dei miei a causa del fatto che i datori di lavoro offrono schiavitù, per di più in un neo-Inglese che non capisco, benché io conosca perfettamente l’Inglese, non posso permettermi di adottare neppure un gatto. Né qua né a distanza.

La gente che si diverte non è vista di buon occhio. Sono tuttavia viste con favore le macchinette mangiasoldi dove non si vince MAI (perché mai si recupera tutto ciò che ci hai speso dentro, a meno di non spaccarle con un piede di porco); sono fintamente osteggiate quelle pratiche di divertimento dove la testa viene portata all’oblio (sei un ubriacone o un drogato? sei un malato, lo Stato ti passerà il metadone, ti manderà dall’amorevole psicologo, dallo psichiatra che ti darà le pillole che abbattono un mammuth e vedrai gli SMILE dappertutto…).

Chi si diverte coscientemente, invece, è pericoloso, difficilmente manipolabile, difficile da controllare; chi riflette, all’ultimo istante decide di non gettarsi nel pozzo con gli altri, e lo schema perfetto, esteticamente preciso ed equilibrato va a farsi benedire.

La gente non è un mucchio di scatolette: non si deve essere per forza uguali, allineati e coperti.
Quando l’oscenità impazza, essere pacati e moralmente integri diventa strano; mi verrebbe da dire: sii un’oscenità di fronte agli osceni!

Quando dimostri una qualche normalità, o anche di averne solo il concetto, sentirai immediatamente cori di persone a domandarti cosa e normale, ma non vorranno sentire la risposta; vorranno invece dimostrarti come sei gretto a non mettere in dubbio il concetto stesso di normalità. E alla fine sarai tu bollato come razzista, perciò ‘anormale’ all’interno dell’ampio gruppo dei ben-pensanti.

Divertirsi non è un obbligo né ci sono delle regole e delle prescrizioni da seguire.

Non è il divertimento la marca del diavolo.
Non è il ridere il ghigno del diavolo.

Il diavolo è grigio, vuole un mondo ordinato, file e code per i moduli, tutti sistemati e prevedibili, come dentro un bel magazzino, asettico, dove le etichette sono uniformi e indistinguibili; vuole che, per pagare esose ed inique tasse, si vada di persona a cercare gli sportelli, e dire grazie allo Stato per aver legalizzato il pizzo e non dare niente in cambio.
Il diavolo è quello che ci impone delle prediche su quanto siamo cattivi e ingrati, che ci accusa di essere un popolo di evasori, per il fatto di non apprezzare di poter ANCORA vedere il calcio alla TV.

Già, ma un tempo sulla Rai si vedevano tutte le partite, non una ogni tanto. Adesso c’è la stessa quintalata di pubblicità che c’è su Mediaset, perfino quella durante il match, per non parlare di quella bestemmia oscena e disgustosa di quel “reloaded” piazzato addosso al povero Carosello… dove peraltro le scenette sono di una tristezza e uno squallore d’autore.

Le scenette precedenti all’amichevole con l’Irlanda, le avete viste?

Perché dovrei ridere di una coppia di genitori che si nasconde per non aiutare i figli? Perché dovrei aver piacere nel vedere una madre rispondere alla figlia un’idiozia gratuita, mentre tranquillamente si dipinge gli occhi?
‘Sta sottospecie di sberleffo di Carosello non è che un ennesimo contenitore di pubblicità.

Poi ci sono gli spot istituzionali, dove si vede chiaramente che sono stati bei soldi per un’ottima fotografia e una ricerca accurata, ma il cui messaggio sotteso è sempre più minaccioso: si DEVE parlare di Europa. Si deve.

E l’Europa in che termini parla di noi? Si deve parlare di Italiani, in Europa, io dico.
Di vecchi e nuovi Italiani, quelli che c’erano prima, e i nuovi acquisti, e soprattutto di immigrati: a noi arrivano stremati e pigiati; noi li teniamo un anno e più, di nuovo pigiati, nei centri di raccolta; noi abbiamo da pensare a noi e a loro… ma l’Europa che ne pensa?
Il Signor Unione Europea cosa pensa di tutti quei morti, tra quelli in mare e quelli ammazzati da immigrati allo sbando?
Che cosa pensa dei ‘migranti’, a parte chiudere le frontiere e autorizzare la milionesima invasione della Penisola?

Tutti noi portiamo in volto, addosso, nel sangue e nell’anima tutte le invasioni precedenti. Tutti noi abbiamo avi che vengono dal Nord e dal Sud. L’Europa ha in noi i suoi figli, e ci tratta come idioti da macellare.

E in casa, a comandarci, abbiamo i servitori loro, che, per fingere di fare qualcosa e mostrarsi indaffarati, se la prendono con lo sport, non fanno che vomitarci addosso accuse, rendono possibili truffe e non danno peso alle denunce.

L’albero è caduto: era stato detto a tutte le polizie, comunicato a tutti gli sbirri in divisa, tutti sapevano dell’albero pericolante.
Ma l’albero è caduto sulla macchina di una signora, che ne è rimasta schiacciata.
La signora per caso meritava una tale fine, perché era un’ingrata e non voleva pagare il canone? Lo meritava forse perché non piegava abbastanza la testa? Non aveva uno sguardo abbastanza basso?

Ministri e garanti della privacy guardano sempre altrove quando pezzi di mura antiche cadono giù o la gente viene molestata fin sul telefonino per richieste di soldi assurde o per multe ingiuste su tratti di strada non segnalati a dovere.

Diluire per bene il popolo degli scontenti a chi farà comodo? Mettere in concorrenza vecchi e nuovi poveri a chi gioverà?

L’Europa abbandona noi, i suoi figli, ma per qualche motivo ci vogliono far credere che è per colpa nostra.

Beh, quando siete accusati ma non sapete cosa avete fatto, NON l’avete fatto.
Fino a prova contraria siamo innocenti; fino a prova contraria gli Italiani sono innocenti, e andate a farvi friggere voi e le vostre minacce. E, infine, il calcio me lo guardo lo stesso!

La scuola Italiana

Ai ragazzi nelle scuole non vengono veramente insegnate le materie tipiche, ma viene insegnato loro come imbrogliare l’insegnante per poter non fare il proprio dovere e trovare scorciatoie.

Quando le scuole sono carenti, promettono senza mantenere, per non parlare dei locali insufficienti e degli insegnanti che fanno più danni che altro, e quando i compiti da fare sono solo puramente esercizi meccanici, la gran parte delle volte elargiti in gran quantità solo per levare tempo libero ai ragazzi, è facile capire perché essi non prendano nulla sul serio.

Nulla, letteralmente.

Gli fanno una testa così sulla legalità, ma poi vengono presentati loro dei video che per legge non potrebbero uscire dal salotto di casa; gli fanno una testa così sulla Shoah, ma quando sentono parlare dei disagi degli Ebrei, ridacchiano, fanno battute, ignorano cosa significhi anche solo immaginare di essere limitati nelle più banali libertà quotidiane.

Ai ragazzi, me compresa, è stata scavata via l’anima.

Negli occhi dai colori stupendi non vedi niente, li attraversi senza che niente ti resti impigliato o ti torni indietro.
Quello che costoro imparano dalla scuola è il linguaggio muto dei militari, è come farsi trasparenti sotto l’occhio dell’insegnante. È pura sopravvivenza in un continuo nascondersi, senza mai prendersi le responsabilità delle proprie azioni. È quello che imparano in classe.

Essi stanno nell’intercapedine tra la vita adulta è quella dei bambini, e sanno perfettamente come entrarci e che è la loro zona franca. Sanno che certi linguaggi non verranno mai compresi da vecchi professori che hanno visto altri tempi e che ormai non sono fatti per un ritmo serrato, per cui mangiare un panino al volo e fare ogni giorno il tempo pieno. Sanno che i giovani professori, precarissimi, non hanno a cuore loro, ma solo di trovare uno stipendio alla fine del mese. E tra queste due categorie, riconoscono e vedono tutte le sfumature. Ci si mettono dentro e ne approfittano, finché possono: sanno che il loro tempo in questa fase è molto limitato, e presto il mondo, fatto di controlli e di colpevolezza fino a prova contraria, li mangerà come ha fatto con ciascuno di noi, i loro genitori per primi.

La situazione dei ragazzi, attualmente, è un mondo che cerca di copiare ciò che accade ai ragazzi degli USA, che sperimentano su sé stessi come freddi chirurghi, sulla loro mente e sul loro corpo, ma piantato in una situazione, quella Italiana, piena ancora di vecchia morale, vecchi princìpi, vecchie paure e l’imperante idea del peccato. In America i ragazzi accettano il rischio, non hanno particolari problemi con i concetti di sano/dannoso; in classe insegnano la competizione e la praticità totale.
Ma qui in Italia abbiamo vecchie idee non sostituite con niente, e portate avanti dai vecchi che non vorrebbero mai vedere scorrere il tempo, assetati di potere, e rabbiosi contro tutti i giovani, per invidia, semplice e pura invidia.

I ragazzi sono il termometro di questo cortocircuito, e lo cavalcano, ridendo, come il dottor Stranamore a cavalcioni sulla bomba atomica in volo, disperati ed euforici, nell’ebbrezza dell’onnipotenza di sentirsi in balìa del mondo. Sono nell’esatto centro di questa contraddizione, si sentono eroi, pur imparando a nascondersi e a trovare sutterfugi e imbrogli per restare nell’ombra.

I genitori sono fragili come i figli, perché anch’essi sono stati abbandonati: la loro anima non è stata mai presa in considerazione.
Sempre, davanti ai loro disagi, c’era qualcosa di più importante; la risposta alle loro domande, sempre meno frequenti, era: “Smetti di lamentarti”.
Non era una soluzione, non era un dialogo serio, ma solo un contino TACI!, come se essere bambini, adolescenti, ragazzi, significasse avere LE STESSE ubbìe degli adulti, ma un decimo della loro capacità di usare le informazioni.
I vecchi proiettano sui giovani i loro vecchi processi mentali, mentre ignorano quanto i giovani siano differenti. Non gli interessa.

Chi dovrebbe allevare le nuove generazioni, è il primo a non volerlo fare: facendo il buonista, il genitore chiede che al ragazzo scapocchione venga data una seconda occasione… ma le seconde occasioni non sono bruscolini, anche se vengono smerciate come tali: le seconde chance sono rare e miracolose, e devono essere richieste dal ragazzo, il protagonista, non dalla mamma o dal padre.
Se al ragazzo non interessa una seconda occasione o il perdono, perché glieli si deve dare?
Sono concetti che non gli dicono più niente!

Io sono obsoleta, pur avendo un gran vocabolario in comune con i ragazzini di adesso: li vedo con gli occhi di quando avevo la loro età, con in più una certa benevolenza rassegnata, figlia dell’esperienza.
Ma l’umanità che esce dalle scuole (la mia e quelle di ora) non mi piace affatto: un esercito di zombi, già rotti prima di essere usati, già agonizzanti ben prima dell’età delle malattie, facili da attraversare, eterni bambini vuoti.
Innalzati gli handicappati, a cui neppure importa niente di essere su un qualche piedistallo, mortificati i normodotati.
Lasciati tutti a sé stessi, in un mondo dove le maglie si sono strette a tal punto che essere fiduciosi significa essere ingenui, scriteriati e creduloni.

Bisognerebbe che la scuola smettesse di essere un obbligo. Con i media a cui abbiamo accesso ora, si potrebbero evitare stupidi numeri chiusi, quote rosa o blu, ma lasciare che il ragazzo scelga una sua strada. Sarà poi la vita a presentare il conto, non uno stupido burocrate, che segue leggi inumane fatte da vecchiacci annoiati e rinsecchiti dal livore.

Suggerimenti Americani

Oggi è morto il giudice D’Ambrosio, uno dei protagonisti di Tangentopoli.
Io ero una bambina allora: accogliemmo tutti con favore che un pool di magistrati, a quel tempo perfetti sconosciuti, desse una bella scossa alla corrottissima Italia.
Il risultato furono incarcerazioni preventive, un fuggi-fuggi generale, gente sputtanata tutt’ora, il crollo dell’intero sistema Italiano (una parte dello Stato attaccava un’altra parte dello Stato) e i veri politici, papponi quanto vuoi, ma veri statisti, si trovarono a ritirarsi, lasciando il posto alla monnezza che c’è ora.
Non si rimpiange De Mita, ma vuoi metterlo accanto a uno Zio Nessuno come Veltroni? Oppure, andato via Forlani, è stato sostituito da Rosy Bindi!
Gente ladra e in malafede ha lasciato il posto a gente ladra, in malafede, grigia, incolta, incapace, parassitaria, che per di più predica la virtù peggio di Robespierre durante la Rivoluzione Francese.

Accusano gli altri di essere dei codardi a difendersi dietro la legge… ah, perché la legge non è fatta per difendere qualcuno perché innocente fino a prova contraria?
Accusano gli altri di non voler rispettare la legge, perché le sentenze si rispettano, eh, eh: loro possono fare le leggi ad personam e mettere figli e nipoti scadenti a capo di importanti dipartimenti, e a stipendi faraonici, ma gli altri no.

Ora non ci sono più i Democristiani, ma solo la loro feccia, dispersa come da dentro un ventilatore.
Tutti si nascondono, si offendono se scoperti, e negano l’evidenza, anche quando hanno le mani lorde e grondanti e puzzolenti.
Questo regaluccio di Tangentopoli, mi hanno detto, è un’idea degli Americani: mettere un tarlo su ciò che sorreggeva l’intera nostra scalcagnata baracca avrebbe significato eliminarci come avversario concorrente per anni. Decenni.

E infatti, ne apprezziamo i risultati sulla nostra pelle, ora.

Al momento non possiamo fare troppo altro che obbedire, ma dovremmo protestare per non dover più perdere le nostre vite gratis, per le missioni decise dagli USA verso altri Paesi terzi, che farebbero comodo essere nostri amici.
Per questo problema, non dovremmo essere così accoglienti con i disperati che vengono da fuori: noi siamo già disperatissimi di nostro, e se l’Europa non vuole più immigrati, perché li lascia a noi, che non manteniamo nemmeno noi stessi?

Poveri di lungo corso a fare concorrenza a poveri novizi, sapete chi vincerà?

Siamo in rotta verso la povertà, come dopo una guerra. E per questo dovremmo anche essere grati a Obama e tutto ciò che egli rappresenta? Obama, Nobel per la pace, ma già pronto a far guerra a casaccio, per mantenere il traballante prestigio della sua Nazione di spioni e spiati.

Nessuno ha detto ciò di cui hanno parlato con Renzi, con Napolitano. Ai TG hanno solo detto della battuta dello stadio da baseball, peraltro molto Americana.
Bastano già Stato, Mafia e Vaticano a comandarci in casa (per la benedizione di Pasqua non occorre più un’offerta libera, ma almeno 20 euro: il prete entrando in casa prende la perizia! Per fortuna non siamo esattamente cattolici in famiglia…).
Bisognerebbe che qualcuno che comanda, si svegli e abbia gli attributi per dire no, no, no, un po’ di volte, fare la voce grossa, ridere delle minacce: impoverirci di denaro e di cultura l’hanno già fatto; mandarci qua gente disperata a far da concorrente ai nostri poveri l’hanno già fatto.
Vogliono mandarci una bomba atomica sulla testa?
Prego, fate pure.
Una nota cantante, da un video, mi ha già suggerito: “Die young! Muori giovane!”
Difendersi è un delitto, la vendetta anche peggio, subìre è da vigliacchi… Che cosa volete che faccia, che schiatti?
Poi accendo la TV e sento: “Die young! Die young!”
Ho afferrato, grazie.
Beh, se ci pensate voi…

La GraAande Bellezza

Nonostante i miei giganteschi pregiudizi riguardanti il cinema Italiano, con i suoi dialoghi scontati, la recitazione strozzata pronunciata da bocche semichiuse, che racconta solo storie di tristezza e depressione, mi sono messa e ho guardato la tanto osannata pellicola “La grande bellezza”.

I film Italiani scelgono sempre un certo tipo di umanità che, al più, non esiste; quando esiste, è un genere di persona che trovo detestabile o al massimo indifferente.

In ogni caso il MIO tipo umano non è mai calcolato, non esiste, non serve, non c’è. E quest’ultimo “capolavoro” non fa eccezione.

Una fotografia stupenda (come può esserlo una foto già perfetta ma ritoccata con photoshop) a racchiudere una storia per gran parte metaforica, dove il messaggio sottointeso era sempre lo stesso: la nostalgia per i bei tempi andati e la corsa inutile e folle per riconquistarla, dopo i 60 anni.

Un film fatto da vecchi ricchi Romani annoiati, per vecchi ricchi Romani annoiati, dedicato a loro e non adatto ad un pubblico al di sotto dei 60 anni e al di sotto di 10.000 euro di reddito mensili.

Gli unici giovani che vi figurano, sono usati.

Sono usati come oggetti: ballerine nude, coppie esibizioniste, artistoidi che non sanno spiegare la loro pseudo-arte concettuale e altri costretti ad essere artisti per forza e ad esibirsi anche contro la loro volontà, a beneficio di un pubblico che non guarda realmente, che non prova più niente e da un pezzo e che potrebbe stare in casa a godersi la Tv grande quanto la parete, la Jacuzzi o farsi una striscia di cocaina, e sarebbe uguale.

L’unico personaggio che ha ancora una parvenza di vita è proprio il protagonista, interpretato da Toni Servillo, che potrei definire in gran forma, se tutto non fosse sotto una radice quadrata di atmosfere dimesse e decadenti.

L’Italia che ha guardato il film si divide in due: ci sono giudizi stroncatori da chi l’ha visto, da chi l’ha visto fino ad un certo punto e da chi già sa bene di che cosa si parlerà pur senza averlo visto, perché il cinema Italiano non è originale da almeno 40 anni; ci sono giudizi entusiastici, di chi ha visto in questo esercizio di stile una delle più grandi opere d’arte che si siano mai viste.

Per me la storia ha cominciato ad essere di qualche interesse solo dopo ben 10 minuti dall’inizio del film. Ad un certo punto stavo davvero pensando di cambiare canale, e sintonizzare il mio vecchio TV a tubazzo catodico su Ballarò… un tipo di programma che vedo solo come medicina contro il mio isolamento forzato e per la mia perenne lotta all’ignoranza.

Diciamo anche che mi aspettavo molto peggio, e Sabrina Ferilli sembrava proprio divertita dalla parte che le era stata assegnata.

Ho apprezzato, oltre al protagonista, anche l’editrice, che lo esorta a fare delle interviste, ma lui è ormai annoiato…

Se avessi la possibilità di andare indietro nel tempo di un anno per incontrare me stessa, mi direi di aspettare, di non andare al cinema; mi direi: sette euro o più, per pagare e vedere questo, non sono alla portata delle tue tasche. Ti consiglio di aspettare un anno per vederlo gratis alla Tv… e sopporta un po’ la pubblicità, perché riuscirai a vederlo fino alla fine, nonostante la sua vacua pesantezza. In fondo si vede Roma e si conoscono delle usanze piuttosto bizzarre di un certo tipo di umanità. E sapere è meglio che non sapere, no?

A quanto si dice, gli Americani l’hanno trovato stupendo, e il fatto che molti Italiani non l’abbiano apprezzato, gli ha fatto pensare che gli Italiani non capiscono niente.

Beh, se viene LUSINGATO il loro modo di vedere l’Italia, è matematico che ad essi piaccia molto.

Essi pensano che gli Italiani o siano sempre fermi agli anni ’40 del ‘900, chiusi nelle loro tradizioni e cattolici fino allo spasimo, o che siano degli impenitenti goderecci decadenti.

Della gente normale non hanno un’idea e non gli interessa. Come non interessa ai film Italiani: solo disagiati, immigrati, malati gravissimi terminali, anziani furbi e saggi, bambini saputelli la cui innocenza sparisce appena iniziano a recitare il loro copione… mentre della gente normale, con problemi interessanti perché comuni un po’ a tutti, non importa niente.

Se gli Italiani non capiscono un film Italiano, mi domando cosa ne capiscano degli Americani, capaci di fare un “Mangia prega ama” dove le coppiette a baciarsi a Roma sono in numero maggiore dei ruderi, o capaci di inventare un Capitano Corelli che indossa un anacronistico maglione di 100 anni più avanti nel futuro, presentandosi come un canterino di lirica, senza spina dorsale, anche se va a invadere la Grecia in rappresentanza dell’Italia fascista… Per non parlare di “2012”, dove il Presidente del Consiglio (Monti) secondo loro si unisce a tutti in Piazza San Pietro, insieme al Papa, tutti a pregare, aspettando quieti l’onda anomala… e le famiglie Italiane sono riprodotte come in una cartolina dell’immediato secondo dopoguerra.

Se noi non capiamo niente, figuriamoci loro…

Insomma, non è stato così orribile come pensavo. Sarà che anche una pellicola deprimente come questa non mi può fare più effetto, visto che sono con il morale sotto le suole da talmente tanto, che non sono certa di sorridere, quando mi sento di farlo, e ho anche paura che qualcuno possa attaccarmi se lo faccio, qualora ci riuscissi…

Per i sessantenni, è l’apoteosi della nostalgia: tutto l’amore è concentrato nello spazio tra i loro 16-18 anni, per poi svanire nel niente di adesso. Uhm, scusate se nel niente ci sono anche i loro figli e i loro nipoti, per chi ha abbastanza fortuna e soldi per averne e poterseli permettere.

La colpa dei mali Italiani sta principalmente in questo ostinato guardarsi indietro, nel voler fermare il tempo, nel voler cristallizzare la vita nell’unico momento ricordato da un egoista dallo sguardo molto corto e dall’immaginazione poverissima.

Questa gente grigia si è messa al comando.

I loro valori sono il vendersi senza alcun rispetto, il noleggio di sé stessi e degli altri, l’ostentazione e il piacere massimo a tutti i costi…

Una celebrazione di questo modo di vivere, con anche un ipocrita sottofondo di Requiem, per me non è un’opera d’arte.

Da 1 a 10 metterei un 4 o un 5 stentato. Giusto perché mi aspettavo il solito 3 come voto standard del cinema Italiano.

Sono stata generosa.

Mercanti di anime

La Germania non si fida: dopo la vicenda delle intercettazioni, i rapporti tra l’Europa e gli USA sono diventati gelidi.

Se era progettata una grande produzione di occhiali a realtà aumentata connessi alla rete, ora l’idea è stata arrestata: come ci si può fidare se si può essere spiati in casa con i propri stessi occhi?

Invece di investire in occhiali tecnologici, la Germania prepara importanti difese, reti criptate e uomini dei servizi segreti nei punti strategici del governo… e i richiami e le convocazioni di Obama verso la Merkel vengono di fatto ignorati.

L’America gioca sporco e dice baro a chi si difende.

E noi?

Beh, Napolitano ha messo a disposizione delle spie, manifeste o no, tutta l’Italia, fin dentro ai nostri calzini.

Ci stordiscono con un odio programmato verso il perfetto cattivone Tedesco, ci fanno indignare sulle sciocche e banali storielle del Presidente Francese… e ci fanno gioire se i nostri magistrati aprono un’ennesima inchiesta di cattivo gusto su Berlusconi; e ci fanno stare in ansia a comando per le proteste in Ucraina e altrove, dove ci tengono tanto ad entrare in Europa.

Intanto chi entra da clandestino in Italia viene a pretendere. Ma consideriamo anche che nessuno, clandestino o no, può essere lasciato ad aspettare più di un anno fermo in un sovraffollato centro d’accoglienza, senza sapere se entrerà o se tornerà in Patria.

Possiamo dire loro: – È così che funziona in Italia. Benvenuti! –

Ma questo non rende buono e giusto questo sciatto modo di trattare la vita della gente, Italiani e non, clandestini o regolari che siano.

Fanno grandi chiacchiere pompose sulla sacralità della vita umana, per farci stare in colpa, ma gli stessi che predicano questo, lasciano questi in deposito, a cucirsi la bocca e a protestare… inascoltati, se non per fare show.

E, cosa importantissima: r…g…sf…h….

La Rai si vede, si sente, si tocca…

…E si smaglia.

http://www.padovanews.it/rubriche/che-borsa-che-fa/195760.html

Marchio registrato

Visto che qui in Italia i magistrati non hanno nulla da fare, si annoiano in un Paese giuridicamente facile come il nostro, hanno preparato un “Ruby  Ter”. A grande richiesta, immagino.

Quando al TG (uno a caso, fate un po’ voi) l’hanno annunciato, l’hanno fatto seguire a brevissima distanza, da una sviolinata sui generosi magistrati che hanno lottato contro la mafia e per questo hanno dato la vita.

Insomma, vorrebbero farci credere che Falcone e Borsellino siano non l’eccezione, ma la norma tra i magistrati.

Con questo giochino invece il messaggio che mi è arrivato è il triste monito:  – Un magistrato buono è un magistrato morto. –

Oh, non è una minaccia, ma un dato di fatto, quasi una logica, quasi una statistica.

Quando ne hanno bisogno, strumentalizzano l’immagine di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, chiamandoli per nome, come fossero compagnucci di classe, e gli fanno un nuovo de profundis.

Ma non ricordano che furono accusati di prepararsi da sé i propri stessi attentati?

È una storia plausibile come quella in cui io chiamo qualcuno per farmi scagliare una miniatura pesante sulla faccia.

Adesso guardo la foto di Falcone e Borsellino e non penso più ai due magistrati morti per un ideale quale che fosse, ma penso alle loro memorie, così tirate con i fili, proprio come se ci fosse uno dei pupari che tanto hanno combattuto a comandare le loro immagini a bacchetta.

E mi fa venire i brividi.

Sapete, lo stesso effetto me lo fanno quelle belle pubblicità piene di buoni sentimenti, come quella della banca che non ti guarda né troppo dal basso, né troppo dall’alto… o quella della CocaCola, che tanto crede negli Italiani, un po’ come la catena McDonald, o quell’altra banca che mette insieme un video di un’orchestra che viene alla spicciolata a raccogliersi in una piazza, fingendo che non sia tutto preparato… o quella dell’energia che non si genera ma si rincorre (eh?).

Tutte queste vagonate di buoni sentimenti, più o meno acconciate ed infiocchettate, sanno sempre e comunque di fregatura, comunque le si guardino.

E quando richiamano alla memoria i morti, invece di pensare ai vivi, tipo i nostri Marò in India, allora so esattamente che non sono le menti vive a comandare, ma gli zombi.

Sa di minaccia a mano armata la nuova pubblicità del canone. Si ‘deve’, perché se non lo paghi tutta la TV, compresi i canali Mediaset, La7 e tutti gli altri saltano per aria. Perché, ricordate? La tassa è sul possesso di un apparecchio: che sia vecchio, scassato, nuovo di pacca… e soprattutto, che sappia o meno prendere i canali senza squadrettamenti e balbetii inconsulti e senza sparizione improvvisa dell’immagine, perché il decoder decide che il tempo di visione è finito (sic!).

Dunque, si deve perché si vede… Si vede, a meno che non passi sotto casa un tram, un autobus, un’automobile, una bicicletta, l’anziana vicina con il cane o solo il cane… Si vede a meno che l’aria non sia libera… ma non troppo, eh, eh!

I primi a saltare in aria sono sempre Rai1, 2 e 3… guarda caso. Eppure non c’è TG, non c’è programma, non c’è angolo in cui non si chiosi dicendo che c’è l’obbligo di pagare, perché se no gli ovvi 3 bambini per famiglia Italiana, la signora e il nonno, tutti impalati marmorei davanti alla Tv, potrebbero avere giusti istinti omicidi. 

Non si vede mai un uomo adulto davanti alla TV, solo un anziano, i bambini ed una donna… chissà perché…

Ma avete mai visto persone veramente così impalate davanti alla Tv?

La versione con la donna mi inquieta più delle altre, perché sembra pendere dalle labbra di quella che ha tutta l’aria di essere una fiction, una delle pessime fiction, di quelle che arrivano alla decima stagione.

Quelle, ricordiamolo, con dialoghi scontati, pronunciati da gente che ha sempre la lingua impastata e che non riesce ad aprire bocca, né ha abbastanza fiato per farsi sentire se non con la barra del volume al massimo; con storie sciacque di un’Italia che non esiste, di gente depressa che però pensa positivo, di cattivi ricchi e di fratellanze tra poveri che alla fine ottengono vendetta e giustizia, tutti con un pensiero bidimensionale, grigio ed uguale; quelli con storie d’amore tra bambini dell’asilo, trattate con lo stesso poco rispetto dato a quelle tra adulti; non si parla di politica, se non ambientata nel passato, e ci si crogiola in triti luoghi comuni che vorrebbero ricordare gli antichi fasti del Padrino o al massimo delle vecchie fiction dei tempi di Studio 1…

E potrei continuare.

Il punto è che oramai tutto fa brodo alla Tv per autoriverirsi, autoeleggersi nel cuore della gente, quando da qualunque parte si guardi non è diventata altro che intrattenimento. Anche il TG.

Mi ricordo di una notizia di molto tempo fa, ascoltata al TG1. Parlava di un esperimento genetico attuato su un gatto, un essere superiore quindi: al suo DNA era stato aggiunto un cromosoma di un particolare mollusco che brillava al buio.

Così pareva che in giro ci fosse un gatto fosforescente.

A prescindere se la notizia sia vera o no, e mi riservo di verificare, questa notizia non era a metà del TG, ma era alla fine, come chiusura; non erano malati di denaro da ricordare ad ogni edizione di pagare il canone, e non mettevano decine di servizi come questo per fingere che non ci siano guerre in corso, una crisi economica che sta mangiando la vicina Grecia e un inquinamento tale in Cina da non vedersi neppure da un lato all’altro della strada (e per metterci una pezza, hanno messo degli enormi tabelloni nelle piazze delle grandi città per mostrare il tramonto alla sera e l’alba alla mattina…).

Quanti gatti fosforescenti abbiamo visto nelle ultime edizioni?

Tg1 due e tre hanno praticamente gli stessi servizi, gli stessi speaker, le stesse immagini. Come se alla Rai fossero a corto di personale, o di notizie… o di personale che sappia raccogliere delle vere notizie.

Le uniche notizie che sappiamo sono quelle in gergo squisitamente tecnico di politica e di economia, e ogni giorno dobbiamo sapere se Papa Francesco si è soffiato il naso o no.

Oggi il papa ha messo le mani avanti con internet, come se Dio avesse avuto, nel suo disegno divino, l’idea prima di tutti. Comodo retroattivare le idee, no? Non puoi chiedere spiegazioni o controlli al diretto interessato!

In altri tempi la tecnologia era diabolica; in altri tempi la chiesa dissertava sul sesso degli angeli e su se le donne avessero o no un’anima.

Ma ora tutt’ad un tratto, ecco la novità. No, cari, non si è sbagliato Dio, ma il papa, che è infallibile… no aspetta, ridiciamolo daccapo, forza! Aspetta che leggo al contrario quel passo biblico, lo confronto con quell’altro del vangelo, lo mischio con un po’ di letteratura canonica, e vedrai che ne arriverò a capo.

Qui lo Spirito Santo è andato in vacanza da un pezzo. Lui.

Frane, smottamenti, fiumi che esondano a quanto pare non fanno più tanta notizia, ora che ne abbiamo in abbondanza da nord a sud, isole comprese.

C’è anche un terremoto strisciante a ricordarci tutti che la terra non è ferma e anche a stare in piedi non si sta del tutto tranquilli.

Non uno studio, non un’informazione un po’ chiara. Sappiamo solo che chi non prevede i terremoti viene condannato.

Un’altra brillante operazione dei magistrati, oh giubilo!

Tutti ora sono pronti a prendersela a morte con Renzi perché è entrato in contatto con l’Intoccabile, il Malvagione, il Satanasso in persona, il Terribile Silvio!

E chi era pronto ad applaudirlo, ora gli volta la faccia, come se non sapesse che ogni politico che si rispetti deve scendere a qualche compromesso.

Io per ora non mi pronuncio. Però so che Renzi almeno quando parla si capisce, e non riempie di parole l’aria, e che non mi provoca gli incubi minacciandomi con un Letta bis mentre mi sorride soddisfatto, cercando di persuadermi che un Letta bis è la mia salvezza urbi et orbi.

Forse è un bene non essere famosi, dopotutto: chi è famoso deve vedere la sua immagine usata ed abusata, magari in cambio di soldi… ma chi è già morto come può impedire che alla sua memoria si faccia questo sfregio?

La simpaticona per imposizione e il comico che non fa ridere

Dai tempi del primo look di Arisa, a quanto pare è diventato di moda, per un certo genere di cultura ‘giusta’ , promuovere modelli femminili che portino chiaramente addosso tratti di un qualche genere di handicap, più o meno ostentato, travestito da “sono una persona normale, come te”.

Avete presente quella tipa che si è presentata all’inizio dell’estate, quella che parla Veneto, con i capelli lunghi? Quella che canta ‘vieni con me’, che finge di divertirsi a far giocare i bambini? Quella che andava in giro per Venezia farfugliando delle parole al gondoliere, impegnata a creare un grande arcobaleno, come fanno ‘tutte le persone normali’? Sì, Chiara, proprio lei.

Beh, avete visto i tratti del suo viso? Dovrebbe denunciare il suo chirurgo plastico, perché in natura nessuno dovrebbe avere quella faccia… o almeno lo spero per lei: sembra che qualcuno abbia preso Photoshop e le abbia schiacciato la faccia, dimenticandosi di fare lo stesso con l’ovale del viso, così ora risulta una fronte spaziosa, degli occhi schiacciati, lunghi ed inespressivi, fissi ed inquietanti, e una bocca dalla minima mobilità.

E che dire della sua voce lamentosa e gorgheggiante, che fa diventare “Somwhere over the Rainbow” una canzone adatta più ad un trasporto funebre che ad una celebrazione dell’arcobaleno!

Quella che sto per criticare è l’idea sottesa in quello spot dove lei è protagonista, ciò che ha spinto ad usare quel modello di persona piuttosto che un altro (uno più normale, ma che fosse gradevole alla vista; mica cerco la solita modella scosciata!).

Sembra che punti su uno degli archetipi innestati nella cultura di coloro che sono nati con la TV: un pacifismo di mestiere, dove una ragazza può essere amica di tutti, e ha perciò la chiave per il cuore di tutti, nessuno escluso. 
Nessuno?
Tanto per cambiare, dalla bella equazione mi sento esclusa io; sono altresì certa che molti altri si sono sentiti come me, presi in giro oppure dubbiosi sulla veridicità di quella situazione così semplificata.
Avranno pressocché tutti in mente questa stessa tipa, che pensa di essere spiritosa e simpatica e che invece non è né l’una né l’altra cosa, atteggiarsi nuovamente ad amica del mondo moderno, “una di noi”, telefonando in giro per cercare una casa in affitto.

Tutti l’hanno vista declinare l’invito a dividere la casa con quattro maschi. Ma dite, maschi, davvero avrebbe corso qualche pericolo dividendo una casa con soli uomini? 
Sarebbe come invitare una giovane Rosy Bindi… dubito che avrebbe dovuto difendere il proprio onore, lì dentro, con tutta la buona volontà.

Così ripiega su una casa già occupata da quattro ragazze e un cane. La battuta di Mosè è la cosa meno stomachevole dell’intera scena, credete a me. 
La scena si apre su una casa tutta colori, dove tre occidentali ed una Cinese stanno vicine vicine su un bel divano; il tavolino è ingombro di giochi, come una scacchiera e altri giochi si società, messi lì a portare avanti lo stesso messaggio stucchevole e finto di fratellanza facile e di convivenza semplice.
Tutte le ragazze paiono avere il cervello in comune e non desiderare altro nella vita che trovare un’altra persona con cui condividere il loro idillio: sono tutte al telefono, come se potessero rispondere insieme, in coro, come i nipoti di Paperino…
Hanno negli occhi un’assenza e un’ostilità tipica di chi vorrebbe essere da tutt’altra parte, ma deve abbozzare, perché in fondo vengono pagate per fare quella scenetta caramellosa. 
E chiaramente la casa, l’intera casa, inizia e finisce con il divano, la parete con i quadri e il tavolino del tempo libero. 

Vivono a Milano ma hanno un amico Napoletano che deve ostentare di essere Napoletano, tant’è che si chiama anche Gennaro, e che è la parte comica dell’intera vicenda, stupido e babbasone come pochi.

Una persona come me, che trova le relazioni interpersonali di ogni natura e livello la cosa più difficile al mondo, come dovrebbe reagire?
Mi sento presa in giro. La realtà non è quella. 

Chiunque abbia mai diviso casa in affitto sa benissimo che è quasi impossibile che con gli altri si vada d’accordo, figuriamoci un’armonia del genere, tra questa persona che ostenta di “essere l’arcobaleno” e un perfetto “arcobaleno di razze” (curioso: dov’è la ragazza Afro?), disposte a dividere vita e spazi con una perfetta sconosciuta.

La ragazza “con il sole dentro” e le modelle (tutte uguali) non sembrano avere niente a dividerle, tant’è che quando c’è da fare una festa, si interpellano l’una con l’altra (come se ce ne fosse bisogno: hanno un unico pensiero in comune e un’idea alla volta) per invitare gente, nella loro sala conferenze di 4 metri per 5, l’unica stanza comune, con un solo divano.

Perché detesto tutto questo?

Non è solo la stupidità insipida di quella scema che sa perdersi in un parco attorno a Milano, domandandosi se è ancora in Italia, né che la stessa idiota tratti Gennaro come un povero mentecatto, facendogli una divertita ramanzina con voce nasale e sfiatata.

Lasciate che vi racconti quello che è accaduto a me. Una storia che già allora si dipanava da almeno tre anni.

Era un’epoca in cui pensavo che cambiare città e trovare una nuova compagnia sarebbero stati la medicina ideale per la mia vita piena già di abbandoni e di delusioni; non è facile per me amare le persone. Sono esigente, ma anche molto educata: non starò a lamentarmi se qualcosa non va. Se sono piccoli particolari, non ne farò parola, e sarei stata disposta a perdonarli a tutti, se in compenso mi accoglievano nel loro gruppo, e confidavo che con un po’ di tempo il loro gruppo sarebbe stato il mio.
E quel gruppo con cui andammo in vacanza in Puglia aveva già acquisito la difficile categoria di “nostro”: mio e loro.
O almeno era così che credevo.

Dividevamo una casa in affitto in un delizioso paesino di mare sul Gargano: eravamo in otto, e l’unica Meridionale ero io, ma nonostante questo la padrona di casa cercava di convincermi che Nord e Sud erano la stessa cosa. Può scommetterci, pensai.

Allora avrei fatto di tutto, anche buttarmi nel fuoco dieci volte, per quel gruppo: ognuna di quelle persone, con ciascuno i loro pregi e difetti, aveva un posto prenotato a caratteri d’oro e un pass speciale nel mio cuore. 

Per poter andare in vacanza con loro, avevo dovuto chiedere il permesso ai miei, perché non avevo uno spicciolo che fosse mio. Per mio padre non c’era stato problema, mentre da mia madre mi sentii dire solo di non intrecciare liaisons (allora manco sapevo che volesse dire, men che mai come si scrivesse…) e sto ancora aspettando che mi dia il permesso di andare in vacanza con quegli amici…
Per poter stare con loro, dunque, avevo dovuto superare un po’ di disagi di una certa notevole entità.

Quando sistemammo casa e pulimmo tutto (la solita bottigliona di plastica piena di olio per frittura sgomentò tutti i ragazzi del Nord…), cominciammo a fare il primo bucato.

I panni stesi erano stati messi a stendere da poco, che cominciò a piovere, nonostante fossero gli ultimi giorni di agosto.
Andai di corsa in terrazza e staccai la mia biancheria, lasciando quella degli altri; non avevo pensato di “poter” toccare quella altrui: erano cose private, dopotutto.
Il gesto fu notato da qualcuno, che mandò a dirmelo dalla organizzatrice. Mi sentii davvero male: avevano creduto che il mio fosse puro egoismo, e invece di dirlo direttamente a me, avevano mandato un ambasciatore a farmelo sapere. Né a chiedere perché.
Ma loro erano i miei Amici: spiegai letteralmente in lacrime, alla ragazza, la faccenda del pudore e della proprietà che vige nella mia famiglia, anche tra strettissimi consanguinei, e che il mio gesto non era affatto qualcosa da interpretare negativamente.

Pur essendo amici da tre anni, ancora mi trovavo a dover giustificare un mio gesto. 
Non ci feci caso, visto che non è detto che un gesto apparentemente ovvio venga interpretato correttamente; i loro errori di valutazione erano perdonabili.
Agli Amici perdonavo tutto. 
E non se ne accorgevano.

Dal giorno seguente, dunque, cominciai ad essere servizievole al limite dell’eccesso: mi si trovava ovunque. Se c’era da cucinare, da buttare il pattume, da stendere il bucato, da portare la spesa, da apparecchiare e sparecchiare la tavola, da lavare questo o quello e perfino da mettere il silicone sotto il piatto della doccia, io c’ero. Apparivo ovunque (sul terrazzo, in cucina, nelle stanze, perfino negli armadi), sempre contenta, sempre disponibile, sempre infaticabile: questo sono per gli Amici.

Pensavo che sarebbe stata visibile la differenza tra prima e dopo e che questo avrebbe compensato gli evidenti spigoli del mio carattere, spigoli che peraltro già allora avrebbero dovuto conoscere o almeno avere un po’ familiari.

La vacanza trascorse tra pochi bassi e molti alti. Il bilancio finale fu: un’esperienza da ripetere assolutamente!

Non avevo intrecciato niente, nessuna liaison (qualunque cosa fosse o come cavolo si scrivesse), e la mia più grande emozione era stata dividere con un certo ragazzo la siringona del silicone mentre riparavamo il bagno, e fare una passeggiata fianco a fianco a lui in spiaggia.
Il picco della mia gioia.

Non volevo altro, se non poter provare di nuovo qualcosa di simile, avvalendomi ora dell’esperienza maturata insieme.
Ora saremmo stati un “noi”, un gruppo affiatato e conosciuto.
Il futuro mi prometteva altre vacanze insieme, altre serate a giocare a carte, altre giornate a passeggiare per scavi, parchi, musei e spiagge. La vacanza ideale: un gruppo tranquillo di cui far parte.

Trascorse un anno. 

A giugno io già scalpitavo. Nessuno di loro aveva ancora accennato minimamente ad una vacanza. Nessun progetto, nessuna destinazione, nessuna idea. E il tempo stringeva.
Cominciai allora, e solo allora, a fare domande esplicite:
“C’è qualcosa in ballo per questa estate?”
La risposta più frequente era che non si sapeva niente.
Finalmente, dopo la mia insistenza proverbiale (avete presente Ciuchino con Shrek?) mi arrivò una vera informazione: 
“Quest’anno ognuno va per i fatti suoi”.

Bene… Beh, bene per modo di dire.
Mi dispiaceva molto, ma gli Amici possono fare quel che gli pare, e se quest’anno non ci si è trovati in tempo, pazienza: sarà per un’altra volta.

L’estate la trascorsi facendo esami all’università, litigando con la coinquilina che faceva feste in casa senza invitarmi e senza avvertirmi, occupando per tutta la giornata la nostra “enorme” cucina di 2 metri per 4, (e alla fine per la padrona di casa l’essere di cui diffidare ero io), e infine restando a casa con i miei, fino a settembre, quando è giunta l’ora di tornare.

Un sabato tutti gli Amici si sono riuniti a casa della coppia che aveva organizzato la precedente vacanza. Di solito giocavamo a carte, ma capitava di tenere la Tv accesa. Speravo dunque che quella che si stava presentando come un’ennesima serata Tv prevedesse qualche bel film e non quello squallido zapping per canali di spettacoli che risulterebbero osceni anche per la più disinibita delle porno-star, specialità della casa…

Non mi aspettavo che sarebbe apparso un DVD sul viaggio in Irlanda. 
Viaggio in Irlanda? Di chi?

Alcuni di loro si erano organizzati per andare una settimana in Irlanda. 
Possibile? A me avevano detto che non c’erano progetti in ballo per quella estate, e che ognuno si sarebbe organizzato per sé…
La giustificazione, che mi feci comunque bastare, era che il viaggio già dall’inizio aveva previsto la partecipazione di pochi e già affiatati.

Ma non lo eravamo stati l’anno prima?

Lasciai stare, nuovamente. Perdonai gli Amici, ingoiai un’altra delusione grossa, presi per difetto trascurabile un altro segnale terribile… perché non mi avevano detto la verità?

Per la cronaca, in quel DVD fatto in casa ma molto accurato, mi si nominava una sola volta, e solo nei contenuti speciali: avevo da poco preso la patente, ma nessuno sarebbe salito in macchina con me. 
Gli Amici si fidavano davvero di me, non c’è che dire! 

Da questo evento trascorsero ben quattro anni. 
Non siamo più andati in vacanza insieme. 

Avevo cercato, con grande circospezione, di avvicinarmi a quel ragazzo della spiaggia con cui avevo diviso il lavoro al piatto della doccia, ma alla fine quello che avevo scoperto di lui è stata una mazzata troppo forte da poter ignorare e far passare come un piccolo difetto di persona: non gli interessava me, si sarebbe messo con chiunque, per il solo fatto che era stato solo per troppo tempo.
Solo per troppo tempo? E che avrei dovuto dirgli io, che lo seguivo con discrezione dal primo giorno che l’avevo visto, e che ero stata capace di non rivelarmi per ben 6 anni?

Dopo che la verità del suo comportamento mi fu diventata troppo chiara e impossibile da sopportare, troncai con lui. Nessuno sa quanto dolore mi costò dover rinunciare alla persona che era riuscita ad entrare finalmente nei miei sogni.
Nessuno degli Amici se ne rese conto. 

D’abitudine pensai che se non gliene parlavo io, era ovvio che non comprendessero: che andavo a pretendere?
Ma ci conoscevamo da tanto tempo: com’era possibile che non avessero imparato a leggermi un minimo?

L’ultimo dialogo che facemmo di persona mi rivelò la verità: la ragazza con cui avevo parlato del bucato allora, faceva nuovamente la portavoce, per il marito stavolta. Il mio delitto? Aver detto chissà cosa ben sei mesi prima.
Così le mie parole, del tutto innocenti e in buona fede, avevano ferito l’animo sensibile dello stesso personaggio che era solito accendere la Tv su quegli spettacolini indegni e pensava di essere spiritoso dicendo che in mancanza di una palla, in piscina, avrebbe potuto usare le mie tette… e ci aveva messo sei mesi per farmi sapere che gli avevo urtato l’animo delicato, e me ne aveva informata per interposta persona.

Il mio cuore e la mia anima ne avevano abbastanza.
Ho lasciato il gruppo, ho abbandonato tutti. È come se l’avessi fatto io, senza motivo, comportandomi da mocciosa egoista e viziata. Ma la verità nascosta (perché è tutt’ora nascosta, nessuno me ne ha chiesto il perché) è che gli “Amici” non lo erano mai stati, e mi avevano abbandonato per primi già da tanti anni.

Non mi sono mai pentita di aver dedicato loro il meglio del mio amore e delle mie attenzioni, ma sono stata altrettanto soddisfatta da accorgermi della verità.
Solo che ora non sono più disposta a credere alle chiacchiere.

Se dopo tanti anni non siamo mai diventati tanto affiatati da essere veramente un “noi”, se non per convenienza temporanea, come faccio a credere al messaggio idilliaco e caramelloso di quel gruppo sintetico e falso che si vede in quello spot?
L’unica cosa di vero, in quella scena, è il cane. 

Purtroppo, pur cercando di non essere prevenuta verso la gente, non posso e non voglio privarmi di questo sesto senso, che mi rivela la verità, o almeno una parte di essa. 
Concedo sempre il beneficio del dubbio e molte possibilità di riscatto anche alla coinquilina che da dottor Jackyll diventa di colpo mister Hyde e mi maltratta in scioltezza, senza neanche rendersene conto.
La morte della convivenza è quando la coinquilina porta in casa il fidanzato e lo installa in casa. 
Come se portasse con sé un cucciolo.

Quando, dopo mesi di attesa che la grande passione sfumi un po’ e che si trovino un altro nido d’amore, le domandi come mai devi pagare affitto e bollette anche per lui; allora l’accusa è sempre l’invidia: visto che non porto gente in casa, devo costringere anche lei a fare lo stesso, e così lei si sente una ribelle, fiera ed eroica nel proteggere il suo “ammmore”.
Come se me fregasse un tantillo di chi o cosa viene in casa… A me importa che i suoi passatempi, di qualsiasi natura siano, non pesino sul mio limitatissimo budget, e che casa non venga presa come una garsonniere (non sono certa che si scriva così, ma sono certa di aver reso l’idea) o un albergo ad ore, dove io sono uno dei tanti mobili Ikea della casa.

Non appare a lei evidente come il suo moroso sia uno smidollato che la lascia sola a prendere le sue difese, e la interpella solo per cucinare e fare altre cose…
Appare invece che, se la regola era così da prima, io avrei dovuto avvertirla.

Oh, la bambina deve essere avvertita! Ma non era quella che teneva il ragazzo in casa more uxorio? 
Non è che poi avvertire serva a molto, eh, intendiamoci. 

In ogni caso, se non sei fatta in un certo modo, puoi concedere favori, dare aiuti anche sostanziali (come il sostegno alla preparazione di esami al conservatorio… già!), avere pazienza, sopportare che il bagno sia occupato per tutta la notte, avere le stanze comuni in perenne disarmo (come dopo una guerra) ed essere accondiscendenti quando si tratta di levare delle briciole che ho dimenticato e per cui mi ha chiamato dalla cucina, sopportare che un intero ciclo di lavatrice sia usato per un solo paio di slip…
Non è sufficiente. Non lo è mai. Io alla fine sono sempre il mostro.
Per il solo fatto di tenere la mia vita privata fuori dalle stanze comuni di casa, e di preferire invitare i pochissimi amici usando l’intera città e non una cucina piccola, stretta e pericolosa (vecchio impianto a gas: se non chiudi bene le valvole, compresa quella principale, saltiamo in aria).

Sono sempre il mostro, anche se sono io ad aver riparato casa quando qualcosa si rompeva. 
Sono io ad aver fatto da guida e supporto quando arrivavano queste matricole con la valigia e un’aria smarrita che certamente dovevo avere avuto anche io… solo che non c’era anima viva a vederla… Sono io che ho messo il mio nome per una rete internet di cui poi hanno abusato. 
Sono io che, finché ero utile da tenere vicino, ho trascorso intere serate tra gente che parlava fitto fitto in altre lingue, ed io restavo lì, paziente e perfino attenta, nonostante non afferrassi una sillaba che fosse una.

Quando smettevo di essere utile, diventavo un silenzioso mobile e poi, quando parlavo, un mostro odioso e invidioso.

Beh, ora sapete il perché di tanta acrimonia verso quella pubblicità.

Cosa c’è di peggio di un comico che non fa ridere?

Mi domando da un po’ perché i comici in Tv hanno smesso di far ridere. E’ proprio un fatto da analizzare.

Forse perché hanno cominciato a banalizzare le proprie battute, o forse hanno smesso di prendersi sul serio, o forse fanno dell’ “AVANZpettacolo” senza prepararsi a sufficienza, puntando solo sul pecoreccio, sulla battuta triviale e rozza, grassa da taverna.

O forse perché parlano più loro di politica, che Bruno Vespa… eppure la politica è stata la fonte di ispirazione di schiere di comici, dai tempi più antichi.

I comici non fanno ridere quando parlano per slogan, come se seguissero le direttive di qualcuno, che li tiene stretti tra parentesi censorie… dove non sono da cancellare e moderare battute sporche banali, ma la riflessione stessa.

Le persone ridono quando si riconoscono nelle scene che vengono esposte. Ma può essere che tutti si riconoscono SOLO e SEMPRE nei lati infimi e degradati dell’essere umano.

Solo in quelli?

Ci hanno presentato un mondo fatto di pezzotti porzionati, fatti per essere ingoiati d’un colpo, senza assaporarli né chiedere come diamine siano stati preparati.

Così le battute, così le persone.

Un comico che non fa ridere è un fallimento ambulante, una negazione di sé stesso, un grottesco gracidio scambiato per ironia.

È chiaro perché ci siano tanti e tanti nostalgici, la stessa Tv, che ripropone i Cetra, Alighiero Noschese, Aldo Fabrizi (che, per inciso, qualche genio ha scritto con due Z in “Techetechetè”), Renato Rascel e mille altri.

Mi domando i ragazzi nati nel 2000, che devono mai pensare di questo mondo che si guarda sempre indietro…

Tutti ‘sti vecchiacci che continuano a guardare la solita roba e non sanno farne di nuova, oppure che i bei tempi sono finiti prima che  fossero nati.

Non so se i ragazzini del 2000 le pensino davvero ‘ste cose… So però quello che penso io, e penso molto spesso che i bei tempi siano durati il tempo di fare un po’ di soldi. Poi la gente ha pensato che per mantenere il benessere non si dovesse lavorare: 4 insegnanti per classe, cento uscieri, portantini che portavano solo le sigarette, intere casse in banca e alla posta chiuse per ore… tanto che fa?

Ecco che fa.

Niente futuro, solo un passato che vorremmo si ripetesse. No, non si ripeterà.

Avete creato una generazione di mostri e non la volete guardare, non la volete sentire, non accettate la sua esistenza.

Sono stata cresciuta per un mondo, e mi ritrovo nel suo esatto opposto.

Non riesco a pensare ad alcun progetto, se non quello ESTREMO. Ma vi pare?

Devo rinunciare all’indipendenza, ai sogni, alla ricchezza e al successo, perché qualcuno ha deciso di ingrassare con i soldi altrui, senza mettere dei tappi nelle voragini che creava.

Ed ora sono io a farmi gli scrupoli di coscienza, se devo spendere un euro o è meglio stiparlo, ché tutto è troppo, chissà per quanto ci dovrà bastare…

Molte grazie a chi invece di prendersela con un sistema marcio da cima a fondo, si accanisce contro una e una sola persona, che per quanto anch’essa marcia possa essere, è l’unico che abbia mai proposto qualcosa.

Forse per finta, non saprei.

Ma degli altri mi fido ancora meno; di coloro che si sono stesi sul ceppo per dare l’ascia in mano ai magistrati, mi fido molto meno.

Io devo morire di ansia, mentre c’è chi pensa di essere superiore, eletto da chissà quale dio, e guarda dall’alto con soddisfazione lo scempio che ha creato.

Ci hanno venduto, i nostri politici, compresa la Bonino, che una volta era radicale, ed ora, chissà cos’è… forse si sente vecchia, e ha deciso che non le conviene più, e deve cominciare a mettere qualcosa da parte per l’inverno.

Dovremmo metterci nelle mani di Di Pietro che potrebbe vendersi la mamma per avere un piatto di lenticchie… e poi sentire lui e i suoi pari in toga parlare di Giustizia assoluta con la G maiuscola.

Io che so scrivere, devo stare alla mercé di chi non sa tenere una penna in mano.

Io che so che mentre i suoi avi ancora saltavano da un ramo all’altro, i miei già dissertavano di filosofia e di astronomia.

 Altro che tolleranza. Da un po’ io sto predicando la TROLLeranza…

 

Sono solo cartoni animati… o no?

Quando parlo dell’importanza del messaggio racchiuso nei cartoni animati, negli anime e in quelli ‘normali’, mi riferisco non solo alla censura, alle traduzioni improbabili, alla pronuncia di certi traduttori (che vedono H2O e leggono “accaventi” invece di “accadueò”, oppure vedono scritto “Boooh” e leggono “Boot”, perciò traducono “Stivali!”), alla continua lotta contro la parola ‘morte’, ma anche a ciò che essi dicono tra le righe, oltre la storia.

Tempo fa mi imbattei in un cartone animato fatto a computer, con la tecnica della Motion Capture, la stessa che si trova in videogiochi classici come “Prince of Persia”, “Another World”, “Flashback” e parecchi altri.

Il tutto fatto con una tecnologia molto superiore a quello che avrebbero potuto fare i videogiochi di allora.
Il design dei personaggi era molto accattivante (dal carattere ai visi, dalla personalità all’abbigliamento), ambientazioni piene di luce al limite del sogno, e la storia avvincente.

La trama, in breve.
In un futuro imprecisato, il globo terrestre si è spaccato in miriadi di piccole isole fluttuanti, dove i sopravvissuti hanno le loro dimore. Su tutti, governa la Sfera, un organo dittatoriale e profondamente iniquo. La Sfera è interessata a portare dalla propria parte, e con ogni mezzo, tutti i Seijin, delle persone dotate di poteri particolari.

Protagonisti sono i due ragazzi, Mahàd (fratello maggiore) e Lena (sorella minore), lui grande ed abile pilota spericolato dai riflessi Jedi, sebbene ancora un ragazzino, e lei potentissima telecineta in pieno sviluppo delle sue capacità.

Vivono tenendo nascosti i loro poteri, quando la Sfera riesce a scoprire la loro mamma, potente Seijin, e a rapirla; loro si salvano fortunosamente e in seguito conoscono il capitano Cortès, un pirata dell’aria, che combatte con atti terroristici e di sabotaggio la Sfera; i pirati di Cortès, a bordo di una aeronave, si occupano di salvare i profughi, di cercare la rarissima acqua e salvare i Seijin ribelli dalle grinfie della Sfera.

I pirati sono formati da gente di ogni parte del mondo: un Indiano che ha adottato un piccolo Cinese, Spagnoli, Inglesi, Francesi, Arabi…

Voi vi domanderete: e gli Italiani?

Qui sta la nota dolente. Non ci sono Italiani nella ciurma di Cortès.

Il primo Italiano che incontriamo è perfettamente individuabile, perché è l’unico chiamato solo per cognome, Fratucci.
Costui è scuro di capelli; diversamente dagli altri, non veste in tuta ma con un’elegante camicia nera, pantaloni in tinta e una blusa blu. 
E viene subito dipinto come un fanfarone, traditore, pallone gonfiato e pusillanime.

In un’occasione, Lena si trova a doversi rifugiare su un’isoletta dove stanno preparando una festa paesana: una bella piazzetta circondata da case molto carine, piene di scalette e finestre, un ambiente tipicamente Italiano; ad un certo punto una nave della Sfera con una dei loro feroci Seijin sbarca sull’isola, convinta di avere la ragazzina in pugno. 
Fratucci immediatamente la mette sulla buona strada, servile fino all’eccesso, mentre Lena deve scappare.
Quando, con un trucco di un pirata di Cortès la ragazzina ne esce sana e salva, allora Fratucci fa tutto il simpatico con lei, giurando e spergiurando di non volerla tradire, ma di avere architettato tutto.
Lena se ne va via, risparmiandosi la fatica di spedirlo in orbita, mentre tutta la gente del paese non gli da retta e lo lascia solo a fare un comizio nella piazza ormai vuota. 
Ma nessuno di loro ha alzato un dito per salvare la ragazzina. Hanno solo assistito alla scena.

Ecco quello che passa in un cartone animato. Dalle premesse, sembrava che il messaggio fosse di fratellanza tra i popoli, contro la tirannia e la privazione della libertà. 
Ma a quanto pare è anche che ci sono popoli di serie A e di serie B, e di quelli di serie B non c’è da fidarsi.

Sapete, non nasce dal niente quella poca considerazione che si ha degli Italiani: i vari voltafaccia in tempo di guerra e perfino la faccenda di Gheddafi, con cui avevamo stretto amicizia, per poi mandargli i soldati addosso su ordine dello zio Sam, non sono rari.
E ogni qual volta abbiamo fatto il muso duro, che so, a Sigonella (e tutto orchestrato dal tanto vituperato Craxi) tutto il mondo s’è indignato, perché, coOome! voi Italiani, di solito proni e condiscendenti, ora alzate la testa e vi ergete a padroni di casa vostra?

Non so, poi, se avete notato: nel 99% dei casi, in letteratura, nei film e in ogni genere di racconti seri, se gli Italiani non sono i malvagi o i mafiosi (come non ricordare quel film in cui avevano dato ai mafiosi nomi come Provolone, Maroni e perfino Falcone…-_-), essi sono i primi a morire.

Guardate bene il prossimo film o libro che vi capita: se non c’è “il povero negro” che muore per primo, allora sarà un Cinese o un Giapponese; in mancanza di queste due categorie, allora sarà l’Italiano a morire per primo. 

Tutti i sopravvissuti, rigorosamente con cognome Anglofono, lo commemoreranno, per i primi due minuti della sua morte, ma poi finirà nel passato.
È quasi matematico: quando uno dei primi personaggi che vedete ha un cognome Italiano, ha pendente sulla testa una condanna a morte praticamente certa.
Se c’è un Afro, probabilmente l’Italiano se la caverà, e forse anche se c’è un Asiatico… ma se è solo in un corridoio in penombra, sarete certi che l’assassino lo farà a fettine e ce ne libereremo presto.

Da quel momento, la serie Skyland l’ho vista con altri occhi. Non dico che tifavo per la Sfera, ma non sentivo più tutto quel trasporto per i pirati dell’aria, per Cortès e il suo vice Afro, per il piccolo genietto Cinese e il suo maestro Indiano… cercavo invece, là sullo sfondo, un ragazzo bruno con una camicia nera con un grande colletto, un maglione blu e pantaloni alla moda, e speravo in un suo riscatto… magari morendo per la causa, giusto per cambiare.

Per riscattarsi, gli Italiani devono sempre pagare con la vita, no? O con l’anima, che forse è lo stesso… o forse è peggio.

Non ho trovato altri che polemizzassero contro “Skyland”, anche se non è più
apparso in TV da allora; allo stesso modo, quando i fan Italiani del Dottor Who
devono sentire affermare dal Dottore che la prima telefonata della storia è
quella di Graham Bell e non quella di Antonio Meucci, e non dicono niente,
siamo già ad uno stadio avanzato della sottomissione.

Una memoria vera e solida del passato ci faceva star strette le catene; ora uno
scrolla le spalle, se anche se ne accorge, e continua a girare attorno alla
macina, nella completa indifferenza di ogni istituzione, a partire dal
Presidente della Repubblica che elegge altri 4 senatori a vita, fino all’ultimo
capozziello di quartiere.

Quanti anni hanno le Winx?
Apparentemente una domanda scema, ma lasciate che mi spieghi.

La prima serie è iniziata nel 2003, perciò le nostre fatine made in Italy hanno 11 anni, ed ora siamo, se non erro, alla sesta serie, con un radicale cambiamento di tecnica d’animazione, nuove trasformazioni, nuove storie.

È una serie chiaramente ispirata a Sailor Moon e a tutte le svariate maghette che si trasformano, provenienti dal Giappone, ma non hanno per niente la delicatezza e la compostezza delle loro cugine del Sol Levante. 

Inoltre, dalla prima puntata della prima serie, conosciamo chi e cosa ha ispirato la scuola delle fate: Harry Potter.
E le citazioni da film e da libri si sprecano, sia a proposito che a sproposito. 

Qualcuno dello staff del cartone avrà fatto il liceo classico, per cui sappiamo bene fin da subito qual è la caratteristica della Principessa Amentia o come sono gli abitanti di Andros, la caratteristica del pianeta Oppositus eccetera.

La mia domanda però è sui personaggi: le Winx quanti anni hanno?
Non è una domandina da niente, fidatevi.

All’inizio della prima serie, conosciamo Bloom, la fatina dai capelli rossi, cresciuta sulla Terra, e fata inconsapevole, destinata a sapere la verità su di sé e a scoprire di avere poteri enormi, perfino superiori alle sue compagne, che avevano sempre saputo di avere poteri magici.

Ha sedici anni; conosciamo Mitzi, la perfida compagna di scuola… o ex compagna di scuola… non viene mai specificato.
Dall’aspetto è ben adulta, non vi pare? 

Dobbiamo aspettare qualche serie successiva per poter avere conferma che Bloom ha finito il liceo, per poi continuare alla scuola delle fate.
Allora sono adolescenti o adulte? Non possiamo saperlo ancora se non ci soffermiamo sullo stile grafico con cui sono disegnate.

Lo avete presente?

Sono tutte magrissime, dalle forme spigolose: vita sottile, costole sporgenti ad evidenziare il seno, collo sottile e brevissimo sotto una testa la cui circonferenza è molto più grande della vita, fianchi larghissimi, braccia sottili e lunghissime, mani a stecchini, gambe da gru, caviglie spasmodicamente evidenziate, sorrette da piedi perennemente calzati in tacchi altissimi (perfino alcune pantofole delle nostre fatine hanno un tremendo tacco 12…). 

I visi hanno tutti un naso minuscolo, avvicinato al massimo ad una bocca carnosa e sempre ‘rossettata’, sotto degli occhi enormi, chiaro tentativo di scopiazzare dallo stile manga, che, in genere, privilegia gli occhi da Bambi (grandissimi).

Se le figure sono tutte identiche, le differenze tra le varie fatine sono affidate ai colori dei personaggi e alla forma dei loro occhi.

Così Musa è certamente Asiatica, anzi, Cinese, sebbene venga da un pianeta chiamato Melody; Aisha è Afro, con delle labbra gigantesche; Flora è scura di pelle ma bionda, perfettamente riconoscibile da Stella (e non solo per l’aspetto: sebbene molto potente, la principessa Stella di Solaria dimostra molto spesso di avere il cervello di un sonaglino, come, ad esempio, quando sta esplorando un pericoloso palazzo di cristallo per compiere una cruciale ordalia, si domanda se lì dentro ci siano centri commerciali…); Tecna ha i capelli corti fuxia naturale, e almeno cerca di vestirsi un po’ di più delle altre… perlomeno nella prima serie; infine c’è Bloom, rossa di fuoco e protagonista principale indiscussa di tutte le prime serie.

Sono identificabili, come le Spice Girls, dalle loro caratteristiche: Aisha è la sportiva, Stella è la diva, Musa è libera, Flora è romantica, Tecna è la logica. Bloom, siccome è la protagonista, è quella più difficile da definire, perché il suo percorso di crescita è molto più complesso di tutti quelli delle altre messi assieme.

Ora, tutte queste sono fatine.

Perciò il target del cartone animato delle Winx è quello delle bambine, dalle piccoline dell’asilo, fino a tutte le elementari. Fino ai 12 anni, più o meno.
A chi dedicare un personaggio fatato, se non alle bambine?

Eppure, osservate come si abbigliano e ai gesti sgraziati che hanno, soprattutto nella rozzissima storica prima serie; fate caso che se nella prima serie si accettava di buon grado che Flora non avesse il ragazzo, poi con l’avvento di Aisha, tutte si sono dovute mettere in riga, perché “nessuna doveva restare da sola”.

A Flora hanno creato un ragazzo che è più incredibile di un unicorno: sa leggerle nel pensiero. Scrive poesie, sa dirle la parola giusta sempre, non è mai grezzo, non ci si litigherebbe neppure a farlo apposta. E anche il nome che gli hanno dato è piuttosto improbabile, proprio per sottolineare quanto egli stesso lo sia: Helìa.
Ad Aisha, uno stregone buono, che prima l’aveva seguita di nascosto, e poi le si era rivelato, chiedendola poi in sposa, ricevendo da lei un’immediata risposta positiva: una coppia perfetta di innamorati perfetti.

Tutte “devono” avere un ragazzo, tutte “devono” avere l’ombelico scoperto, “devono” portare tacchi creati dallo stilista più misogino di tutta la dimensione magica, tutte “devono” essere magre, tutte stilose (e solo l’uso di questo aggettivo mi fa accapponare la pelle…), tutte col capello scolpito, come appena uscite dal parrucchiere, e tutte seminude, pure nella dimensione Omega, un luogo naturalmente ostile alla vita.

Il target è quello dai 5 anni ai 12, ma le nostre fatine partono, durante la loro prima avventura, dai 17 e i 18 anni in poi, cosa che oggi farebbe avere loro quasi trent’anni…

Se solo si abbracciano, sembrano suggerire qualcosa di equivoco, proprio a causa del loro design esasperatamente longilineo e spigoloso.

Per sottolineare che l’ispirazione era delle fatine e delle guerriere Giapponesi, non solo hanno copiato gli occhi, ma si sono opposti fieramente al loro aspetto infantile e ingenuo (Bunny, se non era nei panni di Sailor Moon, non ha mai indossato gonne corte o scoperto l’ombelico; ha accennato un azzardo trasformandosi con il gadget, ormai andato in disuso, “Penna Lunare”, con cui cambiava aspetto, e tutti i personaggi hanno puntualmente notato l’esagerazione).
Se “in borghese” le guerriere sailor sono in marinaretta, oppure in camicetta e gonna larga, piene di fiocchi e di accessori, le nostre Winx sono decisamente proiettate, quasi con ferocia, al mondo adulto.

Per parare in corner, hanno inventato le Pixie (a cui è stata dedicata perfino una serie autonoma).
Le Pixie hanno anche dei compagni maschi, ma sappiamo come esse nascono grazie ad una puntata particolare: vediamo un grosso fiore che, oplà, ne partorisce una ogni tanto. Le fatine maschio non hanno molto senso. D’altra parte le Pixie non crescono… se una Pixie è una bebè, lo sarà per sempre.
Sono piccole, bambolottose, fatte per essere coccolate come delle vere bambole… da bambine, insomma.
E infatti presto sono state archiviate, per fare posto ad altre mascotte, del genere che non sta sempre appresso alla sua fata, ma appare solo quando è utile.

Insomma, tutto questo per dire che la dimensione infantile, a cui è dedicato il cartone delle Winx, da esse stesse viene di fatto negato.
Abbiamo solo qualche fugace flashback di una piccola Bloom, della piccola Mirta (la fata-strega a metà tra i mondi, anch’essa del tutto dimenticata), e delle piccole Icy, Darcy e Stormy.

Un tempo passato, lasciato andare, e per ammissione di Stella, da dimenticare, per via del fatto che la superbellissima tra le Winx da bambina era tonda e bruttarella… il che poi viene smentito qualche serie dopo. La bruttezza è abolita nelle Winx.
Chiudiamo questa brutta infanzia nel cassetto, e andiamo a fare shopping!

Un cartone che nega l’infanzia non è un prodotto innocuo.
Un cartone dove il buon gusto e la grazia dello stile Giapponese vengono tagliati via perché infantili, per fare posto a gesti scomposti, a brutte immagini dall’equivoco facile, non mi sembra da lasciar perdere.
Un cartone che nega il passato solo per un problema estetico, non mi pare dare un buon suggerimento.

Io non sto dicendo che sarebbe da censurare: vi sembra che ne parlerei così diffusamente se non l’avessi visto tutto e tante volte? Qualcosa di buono c’è, certamente, se no non ne avrebbero fatto sei serie, per 11 anni di fila.

Le storie sono carine, anche se molto slegate tra loro. La prima serie avrebbe dovuto concludersi da sé, come ogni primo capitolo che si rispetti. 
Molte premesse vengono cambiate dal salto da una serie all’altra, ignorate, oppure mutate in corsa (il Charmix non serve più, le fate che prima dovevano mantenersi segrete ora devono rivelarsi agli abitanti della Terra, le scuole di fate ora sono due e non solo Alfea, le streghe diventano ‘buone’, i cacciatori di fate spuntano solo al momento opportuno sebbene abbiano fatto danni per secoli, Roxy sparisce com’è sparita Mirta, perché non serve più…).
In fondo un cartone dev’essere divertente, e lo è, ammettiamolo.

Tuttavia quello che non va è il messaggio sotterraneo: il modello suggerito da queste sei stangone è quello di diventare come loro, cioè adulte in fretta. Possibilmente, imitandone gli abiti e le movenze, che è ciò che arriva per primo alla mente dello spettatore. Anche a me, che ho cominciato a vederle da adulta.

I messaggi positivi sono dati a profusione, alcuni anche dalla lettura assai complessa: non tutti sarebbero d’accordo con Tecna quando riferendosi all’attacco dei mostri, li giustifica: “Lo facevano solo perché gli è stato ordinato!”

Esortazioni al coraggio, all’altruismo, al rispetto della natura, alla comprensione e all’amicizia, anche dopo furiose litigate, sono numerose e puntuali; i dialoghi tra ragazzi spiegano alcune cose della psicologia maschile, certamente, anche se di certo non proprio tutto… e le scenate di gelosia di Riven sono un’opera d’arte di ottusità!
Per non parlare del Frutti Music Bar dove non si vendono alcolici… niente di più sano, anche se molto improbabile.

Eppure vediamo passeggiare nelle strade della città di Gardenia (pianeta Terra, casa di Bloom, vagamente localizzabile nel Regno Unito) decine di ragazze vestite da discoteca, ma in pieno giorno: top che lasciano la schiena nuda, gonne inguinali, zeppone sotto i piedi, e la stessa Mitzi che gira con uno spacco quadrato più che eccessivo sulla maglietta. 
Per fortuna gli anziani e i bambini hanno dei veri abiti addosso, e lo stesso vale per i genitori delle rispettive fatine. 

Questo scenario suggerisce che la bellezza si esplica scoprendosi, prima di tutto.
Negazione dell’infanzia e scoprirsi per forza.

Non vi viene in mente niente?

Lungi da me fare la Vera Slepoy della situazione: come non dico che Sailor Moon fa diventare gay (e all’epoca di ‘sta sparata, non erano ancora apparsi i Sailor Stars…), allo stesso modo non dico che le Winx fanno diventare delle baby cubiste o delle baby squillo.

Tuttavia sono solidale con quella mamma che ha impedito alla figlia di 5 anni di vedere le Winx, con la promessa che le avrebbe viste da più grandicella, magari in DVD, e con una base di modelli molto più solida.
Alla mamma in questione non erano sfuggiti gli abiti succinti, (che in verità apparivano, in modo molto più soft e in situazioni chiaramente non equivoche, anche in Sailor Moon); ma per la mamma in questione il problema peggiore era il fatto che tutte le Winx avessero un ragazzo, senza possibilità di un modello differente.

Per differenziare il modello, in effetti, hanno ucciso il povero Nabu, e non l’hanno mai più rimpiazzato né riportato in vita…

Ora possiamo scegliere: cinque “appaiate” ed una condannata alla vedovanza perpetua. 

Insomma, i modelli sembrano tanti: colori, interessi diversi, persone diverse… ma alla fine la conclusione per tutte è la coppia, e solo la morte può decretare un destino differente.

Esortare delle bambine dai 5 ai 12 anni ad avere un ragazzo per forza non è sano.

È la versione a cartone animato della stupidissima domanda della zia, che, rivolgendosi alla nipotina che gioca con i pupazzetti, le chiede: – E tu ce l’hai il fidanzatino? –

Come se una bambina che sta scoprendo ora le mille meraviglie del gioco e dei giocattoli, dovrebbe mollare tutto per interessarsi alla coppia. 
E non all’amichetto, ma al “fidanzatino”, che sa anche di volgare: rende quasi una cosa seria, un patto, quella che tra bambini è solo una grande amicizia (peraltro più unica che rara, visto che fin da subito i bambini si dividono più o meno naturalmente per genere).

È a sua volta la versione della altrettanto stupida domanda: – A chi vuoi bene, a mamma o a papà? – E giù a rompere, se il malcapitato infante risponde “A tutti e due”.

Meriterebbero che il ragazzino interpellato rispondesse: – Non sono c@££: tuoi!! –

Comincia, dunque, da molto presto la pressione su questi bimbi, per la ricerca di una persona con cui stare, a prescindere che siano abbastanza maturi o no, o che sappiano o meno cosa implica dividere la vita con una persona che si ama.

È questa caratteristica che odio nelle Winx, ed è la stessa degli adulti che fingono che i bambini non siano altro che adulti in miniatura.

I bambini non sono adulti, né sono fessi. Non sono giocattoli con cui prima divertirsi a sfotterli, e poi gettargli addosso queste richieste apparentemente innocue.

Un bambino che si renda conto di NON stare cercando una ragazza, penserà di essere sbagliato, di avere qualcosa che non va, o anche di non stare compiacendo la zia o la mamma, o l’intero mondo degli adulti.
Penserà che da lui si aspettano questo… perciò sarà forzato ad assecondare queste richieste.

Ma se ai maschi non vengono propinate scelte obbligate anche nei cartoni (ad uno dei protagonisti di Yugi Oh, a Ben Ten o ai Gormiti non viene chiesto di cercarsi una ragazza… tant’è che l’unico Gormita Femmina, quello dell’aria, non esiste neppure più…), alle bambine invece vengono servite fatine guerriere, che però, bada ben bada ben bada ben, non dimenticano CHE COSA sono, e perciò sanno cercarsi anche un ragazzo.

La pressione sulle femmine diventa doppia. E, se non sono destinate dalla natura a non crescere come le altre (implicando altre riflessioni molto gravi), faranno di tutto per evidenziare il loro essere adulte, scoprendosi, truccandosi e cercando tutti i modi per attirare i maschi… generalmente più grandi di loro, perché i loro coetanei magari sono timidi o stanno ancora correndo dietro all’ultimo pupazzino della loro serie animata preferita.

Le ragazzine che vogliono sembrare più grandi attirano, certo che attirano!
E queste ragazzine si sentono potenti, desiderate… non certo usate. Si sentono delle eroine che hanno la chiave per avere in pugno il mondo… non sentono incombere su di loro il pericolo di qualche protettore che potrebbe sfruttarle, o di qualche sadico che potrebbe usarle in modo non troppo piacevole.

Felici di essere usate, felici di attirare i ragazzi, hanno compiuto la loro missione. Finalmente si sentono donne.
Si sentono donne solo con un uomo molto più vecchio di loro che le concupisce.

Alla faccia delle lotte femministe, dell’indipendenza e dell’intelligenza delle donne.

E l’ultima serie delle Winx non l’avete vista?

Le nostre fatine si trasformano tutte allo stesso modo, ora, e per hobby vanno a pulire le spiagge di Gardenia, senza guanti né protezione, e favoleggiano di tecnologia verde che vada a vento e ad energia solare… tecnologie imperfette, buone solo per accendere una lampadina da tasca, per il momento… e più che combattere contro la magia malvagia, combattono contro l’inquinamento, proponendo soluzioni disoneste: far SPARIRE il petrolio.

Eh? Sarebbe questa la soluzione mirabolante?

La natura non è quella benevola di Flora delle Winx, ma è più quella selvaggia di
Tarzan… solo che non è detto che il cucciolo d’uomo sopravviva, soprattutto
se gli viene impedita ogni difesa e ogni fiducia in sé o in chi dovrebbe essere
la sua guida.

E peraltro combattono contro un nuovo cattivo le cui idee sono più piane di una lastra di ghiaccio. Se il design è migliorato, le idee si sono ridotte e ridimensionate, per diventare solo una serie di ammiccamenti all’ecologia e alle energie alternative.

È questo che mettono in testa alle nostre bambine, e ai bambini maschi per i quali sono state da tempo sdoganate? (Nessuno più ha, o dovrebbe avere, dei cattivi pensieri se il proprio figlio maschio, invece di staccare la testa alla Barbie della sorella o schiacciare la testa del povero Cicciobello, ci gioca, esattamente come farebbe con i bravi vecchi Masters di un tempo).

Poi c’è Peppa Pig.

A me fa davvero pena che ai bambini vengano proposti dei cartoni animati noiosi,  pieni di messaggi politicizzati, dal design bidimensionale anni ’40 nel tempo del digitale (avrei odiato Peppa anche da bambina, poiché detestavo ferocemente cartoni come i Barbapapà).

Ma, per favore, spiegatemi perché un’associazione che si dice seria debba accalorarsi tanto per l’uso di animali come protagonisti di favole.

Per quanto insipida e stupida possa essere Peppa Pig, non è certo il primo suino che intrattiene i nostri bambini.
Io ricordo con grande affetto Porky Pig, Miss Piggy, Petunia, i tre Porcellini (che peraltro in casa tenevano, come foto del padre, un poster di una gustosa fila di salsicce…), il suus sapiens Paige (“Beyond Good and Evil”, un bel videogame) e svariati pelouche e salvadanai che hanno accompagnato finora la mia vita.

Secondo questa associazione, che evidentemente pensa che Peppa Pig sia il male peggiore del nostro Paese, i genitori dovrebbero distogliere i ragazzini e i bimbi dalla visione della rosea maialina, non perché le sue storie sono fatte per livellare le menti e per ammaestrare i pargoli alla mediocrità o perché ci sbattano in faccia la nostra ignoranza Italica, ma perché NON mostrano la vita reale dei maiali di allevamento.

Ma allora, perché i signori dell’associazione di Pinco Pallino, quali essi sono, non intraprende una crociata con la Warner Bros o con la Disney, tanto per fare qualche nome, invece che con i misconosciuti e francamente noiosi Mototopo e Autogatto (che se in Italia li hanno visti in 40 è già un miracolo…)?

Vi sembra serio che un’associazione, magari finanziata dallo Stato, perda tempo a prendersela con Peppa Pig e il fango in cui ama sguazzare?

Una favola! È solo una favola, santo Dio! 
Da bambini ci siamo cibati di cartoni ben peggiori, perché non crediate che tutto quel che proviene dagli anni ’70 e ’80 fosse oro!

È come Umberto Eco che se la prende con Superman, peraltro con una grande proprietà di argomentazioni e di linguaggio, degni del grande scrittore che è, ma assolutamente inutile.

Perché uno deve scagliarsi contro i personaggi delle favole, in favore della “triste” realtà dei macelli e degli allevamenti intensivi?

Allora vogliamo abolire, che so, le favole di Fedro? La storia dell’Asino di Apuleio?
Da sempre le metafore si avvalgono di animali parlanti che rispecchiano le caratteristiche umane. 
Questi componenti dell’associazione non hanno mai sentito parlare di metafore, evidentemente; a scuola non ci sono andati, se non per fare i ripetitori tanto amati dai professori, per registrare e per fare la spia contro i compagni di classe. Erano quelli che da bambini avrebbero chiamato “l’Immobiliare punto it” invece di andare a giocare.
Se dai loro un cucciolo da accarezzare, faranno come Monti o Saccomanni: lo terranno in braccio, ma in pieno imbarazzo. Non sapranno che farci!

Al posto delle favole con animali parlanti, seguendo il consiglio dell’AIDAA, possiamo metterci una bella “Università Bovina” (citazione dai Simpson), dove le mucche si laureano, per diventare ottime bistecche. E che non vengano omessi i colpi, i rantoli, gli schizzi di sangue, perché i bambini non devono mica ridere per Peppa e le sue avventure, ma devono morire di paura e avere terrore della carne che la mamma mette loro in tavola!

I bambini hanno tutto il tempo per decidere se diventare vegetariani e hanno il diritto di non essere spaventati gratuitamente da qualche sciocco e nullafacente ben pensante, che una volta, mentre era intento a non fare nulla, ha acceso per caso su Peppa Pig.
E vorreste mica vedere dei bimbi rachitici perché non mangiano più carne nel momento culminante della loro crescita?

Io, che detesto i Barbapapà da quando li vidi la prima volta a 7 anni, potrei avvalermi di un’associazione come l’AIDAA per sparare a zero contro dei mostri mutaforma, dal sesso incerto, che inglobano, mangiano, emettono e penetrano qua e là, e dirne tutto il peggio possibile.
Ma non vedete quanto sarebbe sgradevole e forzato?

Invece di approvare i cartoni che mostrano gli animali antropomorfi, differenti sia da quelli da cortile sia dagli umani, perché da essi si possa immaginare qualcosa di diverso dal grigio mondo reale, questi gridano allo scandalo: vogliono sensibilizzare e politicizzare i bambini, inquadrandoli già, dicendo loro che anche un cartone sciocco come Peppa Pig non deve essere visto, ordinando ai genitori di cambiare canale o spegnere la TV.

Sapete, avevo uno zio che faceva così: entrava in salotto, dove avevamo l’unico televisore di casa, si metteva davanti allo schermo, premeva la bottoniera e cambiava canale, interrompendo il cartone a metà. “Ma quello lo stavo guardando!”, protestavo.

Magari doveva vedere il TG, per una notizia importante… magari c’erano le partite… magari una cosa qualsiasi per cui valesse la pena. Ma era comunque un gesto sgradevole e arbitrario.

Come chiudere il libro ad uno mentre lo sta leggendo, o schioccargli le dita sotto al naso mentre sta cercando di riordinare le idee…
Questo provocherà solo malumori, e non ci sarà ragione altissima o morale superiore a far calmare le proteste dei ragazzini a cui avrai levato di bocca quel che gli piace.

Ordini dall’alto, come se spegnere il cartone di Peppa Pig fosse un comandamento venuto da Dio in persona… solo che è venuto invece da un branco di grigi nullafacenti, distaccati dalla realtà e che credono di educare la gente chiudendo loro gli occhi, le orecchie e mettendo a tutti una grossa cintura di castità.

E che diritto hanno di farlo? Chi sono, i Padri supremi? Il Grande Fratello in persona? Il Papà Doc della situazione? Un bel dittatore ex novo? Chi cavolo li ha eletti? Chi li vuole?

Ragazzi, fate vedere Peppa Pig, se credete, ai vostri figli o ai vostri genitori, ma sempre tenendo acceso cervello e senso critico. Non sarà certo una maialina bidimensionale a far perdere la gioia o la fede ai vostri bambini.

State attenti a queste eminenze grigie e ai loro stupidi diktat e non lasciate mai troppo da soli i ragazzini davanti ad uno schermo, che sia del PC o della TV.
Leggete qui questo articolo assurdo, se vi va. “Guarda e passa”, faceva dire Dante a Virgilio.
http://m.leggo.it/articolo.php?id=424037