Quando parlo dell’importanza del messaggio racchiuso nei cartoni animati, negli anime e in quelli ‘normali’, mi riferisco non solo alla censura, alle traduzioni improbabili, alla pronuncia di certi traduttori (che vedono H2O e leggono “accaventi” invece di “accadueò”, oppure vedono scritto “Boooh” e leggono “Boot”, perciò traducono “Stivali!”), alla continua lotta contro la parola ‘morte’, ma anche a ciò che essi dicono tra le righe, oltre la storia.
Tempo fa mi imbattei in un cartone animato fatto a computer, con la tecnica della Motion Capture, la stessa che si trova in videogiochi classici come “Prince of Persia”, “Another World”, “Flashback” e parecchi altri.
Il tutto fatto con una tecnologia molto superiore a quello che avrebbero potuto fare i videogiochi di allora.
Il design dei personaggi era molto accattivante (dal carattere ai visi, dalla personalità all’abbigliamento), ambientazioni piene di luce al limite del sogno, e la storia avvincente.
La trama, in breve.
In un futuro imprecisato, il globo terrestre si è spaccato in miriadi di piccole isole fluttuanti, dove i sopravvissuti hanno le loro dimore. Su tutti, governa la Sfera, un organo dittatoriale e profondamente iniquo. La Sfera è interessata a portare dalla propria parte, e con ogni mezzo, tutti i Seijin, delle persone dotate di poteri particolari.
Protagonisti sono i due ragazzi, Mahàd (fratello maggiore) e Lena (sorella minore), lui grande ed abile pilota spericolato dai riflessi Jedi, sebbene ancora un ragazzino, e lei potentissima telecineta in pieno sviluppo delle sue capacità.
Vivono tenendo nascosti i loro poteri, quando la Sfera riesce a scoprire la loro mamma, potente Seijin, e a rapirla; loro si salvano fortunosamente e in seguito conoscono il capitano Cortès, un pirata dell’aria, che combatte con atti terroristici e di sabotaggio la Sfera; i pirati di Cortès, a bordo di una aeronave, si occupano di salvare i profughi, di cercare la rarissima acqua e salvare i Seijin ribelli dalle grinfie della Sfera.
I pirati sono formati da gente di ogni parte del mondo: un Indiano che ha adottato un piccolo Cinese, Spagnoli, Inglesi, Francesi, Arabi…
Voi vi domanderete: e gli Italiani?
Qui sta la nota dolente. Non ci sono Italiani nella ciurma di Cortès.
Il primo Italiano che incontriamo è perfettamente individuabile, perché è l’unico chiamato solo per cognome, Fratucci.
Costui è scuro di capelli; diversamente dagli altri, non veste in tuta ma con un’elegante camicia nera, pantaloni in tinta e una blusa blu.
E viene subito dipinto come un fanfarone, traditore, pallone gonfiato e pusillanime.
In un’occasione, Lena si trova a doversi rifugiare su un’isoletta dove stanno preparando una festa paesana: una bella piazzetta circondata da case molto carine, piene di scalette e finestre, un ambiente tipicamente Italiano; ad un certo punto una nave della Sfera con una dei loro feroci Seijin sbarca sull’isola, convinta di avere la ragazzina in pugno.
Fratucci immediatamente la mette sulla buona strada, servile fino all’eccesso, mentre Lena deve scappare.
Quando, con un trucco di un pirata di Cortès la ragazzina ne esce sana e salva, allora Fratucci fa tutto il simpatico con lei, giurando e spergiurando di non volerla tradire, ma di avere architettato tutto.
Lena se ne va via, risparmiandosi la fatica di spedirlo in orbita, mentre tutta la gente del paese non gli da retta e lo lascia solo a fare un comizio nella piazza ormai vuota.
Ma nessuno di loro ha alzato un dito per salvare la ragazzina. Hanno solo assistito alla scena.
Ecco quello che passa in un cartone animato. Dalle premesse, sembrava che il messaggio fosse di fratellanza tra i popoli, contro la tirannia e la privazione della libertà.
Ma a quanto pare è anche che ci sono popoli di serie A e di serie B, e di quelli di serie B non c’è da fidarsi.
Sapete, non nasce dal niente quella poca considerazione che si ha degli Italiani: i vari voltafaccia in tempo di guerra e perfino la faccenda di Gheddafi, con cui avevamo stretto amicizia, per poi mandargli i soldati addosso su ordine dello zio Sam, non sono rari.
E ogni qual volta abbiamo fatto il muso duro, che so, a Sigonella (e tutto orchestrato dal tanto vituperato Craxi) tutto il mondo s’è indignato, perché, coOome! voi Italiani, di solito proni e condiscendenti, ora alzate la testa e vi ergete a padroni di casa vostra?
Non so, poi, se avete notato: nel 99% dei casi, in letteratura, nei film e in ogni genere di racconti seri, se gli Italiani non sono i malvagi o i mafiosi (come non ricordare quel film in cui avevano dato ai mafiosi nomi come Provolone, Maroni e perfino Falcone…-_-), essi sono i primi a morire.
Guardate bene il prossimo film o libro che vi capita: se non c’è “il povero negro” che muore per primo, allora sarà un Cinese o un Giapponese; in mancanza di queste due categorie, allora sarà l’Italiano a morire per primo.
Tutti i sopravvissuti, rigorosamente con cognome Anglofono, lo commemoreranno, per i primi due minuti della sua morte, ma poi finirà nel passato.
È quasi matematico: quando uno dei primi personaggi che vedete ha un cognome Italiano, ha pendente sulla testa una condanna a morte praticamente certa.
Se c’è un Afro, probabilmente l’Italiano se la caverà, e forse anche se c’è un Asiatico… ma se è solo in un corridoio in penombra, sarete certi che l’assassino lo farà a fettine e ce ne libereremo presto.
Da quel momento, la serie Skyland l’ho vista con altri occhi. Non dico che tifavo per la Sfera, ma non sentivo più tutto quel trasporto per i pirati dell’aria, per Cortès e il suo vice Afro, per il piccolo genietto Cinese e il suo maestro Indiano… cercavo invece, là sullo sfondo, un ragazzo bruno con una camicia nera con un grande colletto, un maglione blu e pantaloni alla moda, e speravo in un suo riscatto… magari morendo per la causa, giusto per cambiare.
Per riscattarsi, gli Italiani devono sempre pagare con la vita, no? O con l’anima, che forse è lo stesso… o forse è peggio.
Non ho trovato altri che polemizzassero contro “Skyland”, anche se non è più
apparso in TV da allora; allo stesso modo, quando i fan Italiani del Dottor Who
devono sentire affermare dal Dottore che la prima telefonata della storia è
quella di Graham Bell e non quella di Antonio Meucci, e non dicono niente,
siamo già ad uno stadio avanzato della sottomissione.
Una memoria vera e solida del passato ci faceva star strette le catene; ora uno
scrolla le spalle, se anche se ne accorge, e continua a girare attorno alla
macina, nella completa indifferenza di ogni istituzione, a partire dal
Presidente della Repubblica che elegge altri 4 senatori a vita, fino all’ultimo
capozziello di quartiere.
…
Quanti anni hanno le Winx?
Apparentemente una domanda scema, ma lasciate che mi spieghi.
La prima serie è iniziata nel 2003, perciò le nostre fatine made in Italy hanno 11 anni, ed ora siamo, se non erro, alla sesta serie, con un radicale cambiamento di tecnica d’animazione, nuove trasformazioni, nuove storie.
È una serie chiaramente ispirata a Sailor Moon e a tutte le svariate maghette che si trasformano, provenienti dal Giappone, ma non hanno per niente la delicatezza e la compostezza delle loro cugine del Sol Levante.
Inoltre, dalla prima puntata della prima serie, conosciamo chi e cosa ha ispirato la scuola delle fate: Harry Potter.
E le citazioni da film e da libri si sprecano, sia a proposito che a sproposito.
Qualcuno dello staff del cartone avrà fatto il liceo classico, per cui sappiamo bene fin da subito qual è la caratteristica della Principessa Amentia o come sono gli abitanti di Andros, la caratteristica del pianeta Oppositus eccetera.
La mia domanda però è sui personaggi: le Winx quanti anni hanno?
Non è una domandina da niente, fidatevi.
All’inizio della prima serie, conosciamo Bloom, la fatina dai capelli rossi, cresciuta sulla Terra, e fata inconsapevole, destinata a sapere la verità su di sé e a scoprire di avere poteri enormi, perfino superiori alle sue compagne, che avevano sempre saputo di avere poteri magici.
Ha sedici anni; conosciamo Mitzi, la perfida compagna di scuola… o ex compagna di scuola… non viene mai specificato.
Dall’aspetto è ben adulta, non vi pare?
Dobbiamo aspettare qualche serie successiva per poter avere conferma che Bloom ha finito il liceo, per poi continuare alla scuola delle fate.
Allora sono adolescenti o adulte? Non possiamo saperlo ancora se non ci soffermiamo sullo stile grafico con cui sono disegnate.
Lo avete presente?
Sono tutte magrissime, dalle forme spigolose: vita sottile, costole sporgenti ad evidenziare il seno, collo sottile e brevissimo sotto una testa la cui circonferenza è molto più grande della vita, fianchi larghissimi, braccia sottili e lunghissime, mani a stecchini, gambe da gru, caviglie spasmodicamente evidenziate, sorrette da piedi perennemente calzati in tacchi altissimi (perfino alcune pantofole delle nostre fatine hanno un tremendo tacco 12…).
I visi hanno tutti un naso minuscolo, avvicinato al massimo ad una bocca carnosa e sempre ‘rossettata’, sotto degli occhi enormi, chiaro tentativo di scopiazzare dallo stile manga, che, in genere, privilegia gli occhi da Bambi (grandissimi).
Se le figure sono tutte identiche, le differenze tra le varie fatine sono affidate ai colori dei personaggi e alla forma dei loro occhi.
Così Musa è certamente Asiatica, anzi, Cinese, sebbene venga da un pianeta chiamato Melody; Aisha è Afro, con delle labbra gigantesche; Flora è scura di pelle ma bionda, perfettamente riconoscibile da Stella (e non solo per l’aspetto: sebbene molto potente, la principessa Stella di Solaria dimostra molto spesso di avere il cervello di un sonaglino, come, ad esempio, quando sta esplorando un pericoloso palazzo di cristallo per compiere una cruciale ordalia, si domanda se lì dentro ci siano centri commerciali…); Tecna ha i capelli corti fuxia naturale, e almeno cerca di vestirsi un po’ di più delle altre… perlomeno nella prima serie; infine c’è Bloom, rossa di fuoco e protagonista principale indiscussa di tutte le prime serie.
Sono identificabili, come le Spice Girls, dalle loro caratteristiche: Aisha è la sportiva, Stella è la diva, Musa è libera, Flora è romantica, Tecna è la logica. Bloom, siccome è la protagonista, è quella più difficile da definire, perché il suo percorso di crescita è molto più complesso di tutti quelli delle altre messi assieme.
Ora, tutte queste sono fatine.
Perciò il target del cartone animato delle Winx è quello delle bambine, dalle piccoline dell’asilo, fino a tutte le elementari. Fino ai 12 anni, più o meno.
A chi dedicare un personaggio fatato, se non alle bambine?
Eppure, osservate come si abbigliano e ai gesti sgraziati che hanno, soprattutto nella rozzissima storica prima serie; fate caso che se nella prima serie si accettava di buon grado che Flora non avesse il ragazzo, poi con l’avvento di Aisha, tutte si sono dovute mettere in riga, perché “nessuna doveva restare da sola”.
A Flora hanno creato un ragazzo che è più incredibile di un unicorno: sa leggerle nel pensiero. Scrive poesie, sa dirle la parola giusta sempre, non è mai grezzo, non ci si litigherebbe neppure a farlo apposta. E anche il nome che gli hanno dato è piuttosto improbabile, proprio per sottolineare quanto egli stesso lo sia: Helìa.
Ad Aisha, uno stregone buono, che prima l’aveva seguita di nascosto, e poi le si era rivelato, chiedendola poi in sposa, ricevendo da lei un’immediata risposta positiva: una coppia perfetta di innamorati perfetti.
Tutte “devono” avere un ragazzo, tutte “devono” avere l’ombelico scoperto, “devono” portare tacchi creati dallo stilista più misogino di tutta la dimensione magica, tutte “devono” essere magre, tutte stilose (e solo l’uso di questo aggettivo mi fa accapponare la pelle…), tutte col capello scolpito, come appena uscite dal parrucchiere, e tutte seminude, pure nella dimensione Omega, un luogo naturalmente ostile alla vita.
Il target è quello dai 5 anni ai 12, ma le nostre fatine partono, durante la loro prima avventura, dai 17 e i 18 anni in poi, cosa che oggi farebbe avere loro quasi trent’anni…
Se solo si abbracciano, sembrano suggerire qualcosa di equivoco, proprio a causa del loro design esasperatamente longilineo e spigoloso.
Per sottolineare che l’ispirazione era delle fatine e delle guerriere Giapponesi, non solo hanno copiato gli occhi, ma si sono opposti fieramente al loro aspetto infantile e ingenuo (Bunny, se non era nei panni di Sailor Moon, non ha mai indossato gonne corte o scoperto l’ombelico; ha accennato un azzardo trasformandosi con il gadget, ormai andato in disuso, “Penna Lunare”, con cui cambiava aspetto, e tutti i personaggi hanno puntualmente notato l’esagerazione).
Se “in borghese” le guerriere sailor sono in marinaretta, oppure in camicetta e gonna larga, piene di fiocchi e di accessori, le nostre Winx sono decisamente proiettate, quasi con ferocia, al mondo adulto.
Per parare in corner, hanno inventato le Pixie (a cui è stata dedicata perfino una serie autonoma).
Le Pixie hanno anche dei compagni maschi, ma sappiamo come esse nascono grazie ad una puntata particolare: vediamo un grosso fiore che, oplà, ne partorisce una ogni tanto. Le fatine maschio non hanno molto senso. D’altra parte le Pixie non crescono… se una Pixie è una bebè, lo sarà per sempre.
Sono piccole, bambolottose, fatte per essere coccolate come delle vere bambole… da bambine, insomma.
E infatti presto sono state archiviate, per fare posto ad altre mascotte, del genere che non sta sempre appresso alla sua fata, ma appare solo quando è utile.
Insomma, tutto questo per dire che la dimensione infantile, a cui è dedicato il cartone delle Winx, da esse stesse viene di fatto negato.
Abbiamo solo qualche fugace flashback di una piccola Bloom, della piccola Mirta (la fata-strega a metà tra i mondi, anch’essa del tutto dimenticata), e delle piccole Icy, Darcy e Stormy.
Un tempo passato, lasciato andare, e per ammissione di Stella, da dimenticare, per via del fatto che la superbellissima tra le Winx da bambina era tonda e bruttarella… il che poi viene smentito qualche serie dopo. La bruttezza è abolita nelle Winx.
Chiudiamo questa brutta infanzia nel cassetto, e andiamo a fare shopping!
Un cartone che nega l’infanzia non è un prodotto innocuo.
Un cartone dove il buon gusto e la grazia dello stile Giapponese vengono tagliati via perché infantili, per fare posto a gesti scomposti, a brutte immagini dall’equivoco facile, non mi sembra da lasciar perdere.
Un cartone che nega il passato solo per un problema estetico, non mi pare dare un buon suggerimento.
Io non sto dicendo che sarebbe da censurare: vi sembra che ne parlerei così diffusamente se non l’avessi visto tutto e tante volte? Qualcosa di buono c’è, certamente, se no non ne avrebbero fatto sei serie, per 11 anni di fila.
Le storie sono carine, anche se molto slegate tra loro. La prima serie avrebbe dovuto concludersi da sé, come ogni primo capitolo che si rispetti.
Molte premesse vengono cambiate dal salto da una serie all’altra, ignorate, oppure mutate in corsa (il Charmix non serve più, le fate che prima dovevano mantenersi segrete ora devono rivelarsi agli abitanti della Terra, le scuole di fate ora sono due e non solo Alfea, le streghe diventano ‘buone’, i cacciatori di fate spuntano solo al momento opportuno sebbene abbiano fatto danni per secoli, Roxy sparisce com’è sparita Mirta, perché non serve più…).
In fondo un cartone dev’essere divertente, e lo è, ammettiamolo.
Tuttavia quello che non va è il messaggio sotterraneo: il modello suggerito da queste sei stangone è quello di diventare come loro, cioè adulte in fretta. Possibilmente, imitandone gli abiti e le movenze, che è ciò che arriva per primo alla mente dello spettatore. Anche a me, che ho cominciato a vederle da adulta.
I messaggi positivi sono dati a profusione, alcuni anche dalla lettura assai complessa: non tutti sarebbero d’accordo con Tecna quando riferendosi all’attacco dei mostri, li giustifica: “Lo facevano solo perché gli è stato ordinato!”
Esortazioni al coraggio, all’altruismo, al rispetto della natura, alla comprensione e all’amicizia, anche dopo furiose litigate, sono numerose e puntuali; i dialoghi tra ragazzi spiegano alcune cose della psicologia maschile, certamente, anche se di certo non proprio tutto… e le scenate di gelosia di Riven sono un’opera d’arte di ottusità!
Per non parlare del Frutti Music Bar dove non si vendono alcolici… niente di più sano, anche se molto improbabile.
Eppure vediamo passeggiare nelle strade della città di Gardenia (pianeta Terra, casa di Bloom, vagamente localizzabile nel Regno Unito) decine di ragazze vestite da discoteca, ma in pieno giorno: top che lasciano la schiena nuda, gonne inguinali, zeppone sotto i piedi, e la stessa Mitzi che gira con uno spacco quadrato più che eccessivo sulla maglietta.
Per fortuna gli anziani e i bambini hanno dei veri abiti addosso, e lo stesso vale per i genitori delle rispettive fatine.
Questo scenario suggerisce che la bellezza si esplica scoprendosi, prima di tutto.
Negazione dell’infanzia e scoprirsi per forza.
Non vi viene in mente niente?
Lungi da me fare la Vera Slepoy della situazione: come non dico che Sailor Moon fa diventare gay (e all’epoca di ‘sta sparata, non erano ancora apparsi i Sailor Stars…), allo stesso modo non dico che le Winx fanno diventare delle baby cubiste o delle baby squillo.
Tuttavia sono solidale con quella mamma che ha impedito alla figlia di 5 anni di vedere le Winx, con la promessa che le avrebbe viste da più grandicella, magari in DVD, e con una base di modelli molto più solida.
Alla mamma in questione non erano sfuggiti gli abiti succinti, (che in verità apparivano, in modo molto più soft e in situazioni chiaramente non equivoche, anche in Sailor Moon); ma per la mamma in questione il problema peggiore era il fatto che tutte le Winx avessero un ragazzo, senza possibilità di un modello differente.
Per differenziare il modello, in effetti, hanno ucciso il povero Nabu, e non l’hanno mai più rimpiazzato né riportato in vita…
Ora possiamo scegliere: cinque “appaiate” ed una condannata alla vedovanza perpetua.
Insomma, i modelli sembrano tanti: colori, interessi diversi, persone diverse… ma alla fine la conclusione per tutte è la coppia, e solo la morte può decretare un destino differente.
Esortare delle bambine dai 5 ai 12 anni ad avere un ragazzo per forza non è sano.
È la versione a cartone animato della stupidissima domanda della zia, che, rivolgendosi alla nipotina che gioca con i pupazzetti, le chiede: – E tu ce l’hai il fidanzatino? –
Come se una bambina che sta scoprendo ora le mille meraviglie del gioco e dei giocattoli, dovrebbe mollare tutto per interessarsi alla coppia.
E non all’amichetto, ma al “fidanzatino”, che sa anche di volgare: rende quasi una cosa seria, un patto, quella che tra bambini è solo una grande amicizia (peraltro più unica che rara, visto che fin da subito i bambini si dividono più o meno naturalmente per genere).
È a sua volta la versione della altrettanto stupida domanda: – A chi vuoi bene, a mamma o a papà? – E giù a rompere, se il malcapitato infante risponde “A tutti e due”.
Meriterebbero che il ragazzino interpellato rispondesse: – Non sono c@££: tuoi!! –
Comincia, dunque, da molto presto la pressione su questi bimbi, per la ricerca di una persona con cui stare, a prescindere che siano abbastanza maturi o no, o che sappiano o meno cosa implica dividere la vita con una persona che si ama.
È questa caratteristica che odio nelle Winx, ed è la stessa degli adulti che fingono che i bambini non siano altro che adulti in miniatura.
I bambini non sono adulti, né sono fessi. Non sono giocattoli con cui prima divertirsi a sfotterli, e poi gettargli addosso queste richieste apparentemente innocue.
Un bambino che si renda conto di NON stare cercando una ragazza, penserà di essere sbagliato, di avere qualcosa che non va, o anche di non stare compiacendo la zia o la mamma, o l’intero mondo degli adulti.
Penserà che da lui si aspettano questo… perciò sarà forzato ad assecondare queste richieste.
Ma se ai maschi non vengono propinate scelte obbligate anche nei cartoni (ad uno dei protagonisti di Yugi Oh, a Ben Ten o ai Gormiti non viene chiesto di cercarsi una ragazza… tant’è che l’unico Gormita Femmina, quello dell’aria, non esiste neppure più…), alle bambine invece vengono servite fatine guerriere, che però, bada ben bada ben bada ben, non dimenticano CHE COSA sono, e perciò sanno cercarsi anche un ragazzo.
La pressione sulle femmine diventa doppia. E, se non sono destinate dalla natura a non crescere come le altre (implicando altre riflessioni molto gravi), faranno di tutto per evidenziare il loro essere adulte, scoprendosi, truccandosi e cercando tutti i modi per attirare i maschi… generalmente più grandi di loro, perché i loro coetanei magari sono timidi o stanno ancora correndo dietro all’ultimo pupazzino della loro serie animata preferita.
Le ragazzine che vogliono sembrare più grandi attirano, certo che attirano!
E queste ragazzine si sentono potenti, desiderate… non certo usate. Si sentono delle eroine che hanno la chiave per avere in pugno il mondo… non sentono incombere su di loro il pericolo di qualche protettore che potrebbe sfruttarle, o di qualche sadico che potrebbe usarle in modo non troppo piacevole.
Felici di essere usate, felici di attirare i ragazzi, hanno compiuto la loro missione. Finalmente si sentono donne.
Si sentono donne solo con un uomo molto più vecchio di loro che le concupisce.
Alla faccia delle lotte femministe, dell’indipendenza e dell’intelligenza delle donne.
E l’ultima serie delle Winx non l’avete vista?
Le nostre fatine si trasformano tutte allo stesso modo, ora, e per hobby vanno a pulire le spiagge di Gardenia, senza guanti né protezione, e favoleggiano di tecnologia verde che vada a vento e ad energia solare… tecnologie imperfette, buone solo per accendere una lampadina da tasca, per il momento… e più che combattere contro la magia malvagia, combattono contro l’inquinamento, proponendo soluzioni disoneste: far SPARIRE il petrolio.
Eh? Sarebbe questa la soluzione mirabolante?
La natura non è quella benevola di Flora delle Winx, ma è più quella selvaggia di
Tarzan… solo che non è detto che il cucciolo d’uomo sopravviva, soprattutto
se gli viene impedita ogni difesa e ogni fiducia in sé o in chi dovrebbe essere
la sua guida.
E peraltro combattono contro un nuovo cattivo le cui idee sono più piane di una lastra di ghiaccio. Se il design è migliorato, le idee si sono ridotte e ridimensionate, per diventare solo una serie di ammiccamenti all’ecologia e alle energie alternative.
È questo che mettono in testa alle nostre bambine, e ai bambini maschi per i quali sono state da tempo sdoganate? (Nessuno più ha, o dovrebbe avere, dei cattivi pensieri se il proprio figlio maschio, invece di staccare la testa alla Barbie della sorella o schiacciare la testa del povero Cicciobello, ci gioca, esattamente come farebbe con i bravi vecchi Masters di un tempo).
Poi c’è Peppa Pig.
A me fa davvero pena che ai bambini vengano proposti dei cartoni animati noiosi, pieni di messaggi politicizzati, dal design bidimensionale anni ’40 nel tempo del digitale (avrei odiato Peppa anche da bambina, poiché detestavo ferocemente cartoni come i Barbapapà).
Ma, per favore, spiegatemi perché un’associazione che si dice seria debba accalorarsi tanto per l’uso di animali come protagonisti di favole.
Per quanto insipida e stupida possa essere Peppa Pig, non è certo il primo suino che intrattiene i nostri bambini.
Io ricordo con grande affetto Porky Pig, Miss Piggy, Petunia, i tre Porcellini (che peraltro in casa tenevano, come foto del padre, un poster di una gustosa fila di salsicce…), il suus sapiens Paige (“Beyond Good and Evil”, un bel videogame) e svariati pelouche e salvadanai che hanno accompagnato finora la mia vita.
Secondo questa associazione, che evidentemente pensa che Peppa Pig sia il male peggiore del nostro Paese, i genitori dovrebbero distogliere i ragazzini e i bimbi dalla visione della rosea maialina, non perché le sue storie sono fatte per livellare le menti e per ammaestrare i pargoli alla mediocrità o perché ci sbattano in faccia la nostra ignoranza Italica, ma perché NON mostrano la vita reale dei maiali di allevamento.
Ma allora, perché i signori dell’associazione di Pinco Pallino, quali essi sono, non intraprende una crociata con la Warner Bros o con la Disney, tanto per fare qualche nome, invece che con i misconosciuti e francamente noiosi Mototopo e Autogatto (che se in Italia li hanno visti in 40 è già un miracolo…)?
Vi sembra serio che un’associazione, magari finanziata dallo Stato, perda tempo a prendersela con Peppa Pig e il fango in cui ama sguazzare?
Una favola! È solo una favola, santo Dio!
Da bambini ci siamo cibati di cartoni ben peggiori, perché non crediate che tutto quel che proviene dagli anni ’70 e ’80 fosse oro!
È come Umberto Eco che se la prende con Superman, peraltro con una grande proprietà di argomentazioni e di linguaggio, degni del grande scrittore che è, ma assolutamente inutile.
Perché uno deve scagliarsi contro i personaggi delle favole, in favore della “triste” realtà dei macelli e degli allevamenti intensivi?
Allora vogliamo abolire, che so, le favole di Fedro? La storia dell’Asino di Apuleio?
Da sempre le metafore si avvalgono di animali parlanti che rispecchiano le caratteristiche umane.
Questi componenti dell’associazione non hanno mai sentito parlare di metafore, evidentemente; a scuola non ci sono andati, se non per fare i ripetitori tanto amati dai professori, per registrare e per fare la spia contro i compagni di classe. Erano quelli che da bambini avrebbero chiamato “l’Immobiliare punto it” invece di andare a giocare.
Se dai loro un cucciolo da accarezzare, faranno come Monti o Saccomanni: lo terranno in braccio, ma in pieno imbarazzo. Non sapranno che farci!
Al posto delle favole con animali parlanti, seguendo il consiglio dell’AIDAA, possiamo metterci una bella “Università Bovina” (citazione dai Simpson), dove le mucche si laureano, per diventare ottime bistecche. E che non vengano omessi i colpi, i rantoli, gli schizzi di sangue, perché i bambini non devono mica ridere per Peppa e le sue avventure, ma devono morire di paura e avere terrore della carne che la mamma mette loro in tavola!
I bambini hanno tutto il tempo per decidere se diventare vegetariani e hanno il diritto di non essere spaventati gratuitamente da qualche sciocco e nullafacente ben pensante, che una volta, mentre era intento a non fare nulla, ha acceso per caso su Peppa Pig.
E vorreste mica vedere dei bimbi rachitici perché non mangiano più carne nel momento culminante della loro crescita?
Io, che detesto i Barbapapà da quando li vidi la prima volta a 7 anni, potrei avvalermi di un’associazione come l’AIDAA per sparare a zero contro dei mostri mutaforma, dal sesso incerto, che inglobano, mangiano, emettono e penetrano qua e là, e dirne tutto il peggio possibile.
Ma non vedete quanto sarebbe sgradevole e forzato?
Invece di approvare i cartoni che mostrano gli animali antropomorfi, differenti sia da quelli da cortile sia dagli umani, perché da essi si possa immaginare qualcosa di diverso dal grigio mondo reale, questi gridano allo scandalo: vogliono sensibilizzare e politicizzare i bambini, inquadrandoli già, dicendo loro che anche un cartone sciocco come Peppa Pig non deve essere visto, ordinando ai genitori di cambiare canale o spegnere la TV.
Sapete, avevo uno zio che faceva così: entrava in salotto, dove avevamo l’unico televisore di casa, si metteva davanti allo schermo, premeva la bottoniera e cambiava canale, interrompendo il cartone a metà. “Ma quello lo stavo guardando!”, protestavo.
Magari doveva vedere il TG, per una notizia importante… magari c’erano le partite… magari una cosa qualsiasi per cui valesse la pena. Ma era comunque un gesto sgradevole e arbitrario.
Come chiudere il libro ad uno mentre lo sta leggendo, o schioccargli le dita sotto al naso mentre sta cercando di riordinare le idee…
Questo provocherà solo malumori, e non ci sarà ragione altissima o morale superiore a far calmare le proteste dei ragazzini a cui avrai levato di bocca quel che gli piace.
Ordini dall’alto, come se spegnere il cartone di Peppa Pig fosse un comandamento venuto da Dio in persona… solo che è venuto invece da un branco di grigi nullafacenti, distaccati dalla realtà e che credono di educare la gente chiudendo loro gli occhi, le orecchie e mettendo a tutti una grossa cintura di castità.
E che diritto hanno di farlo? Chi sono, i Padri supremi? Il Grande Fratello in persona? Il Papà Doc della situazione? Un bel dittatore ex novo? Chi cavolo li ha eletti? Chi li vuole?
Ragazzi, fate vedere Peppa Pig, se credete, ai vostri figli o ai vostri genitori, ma sempre tenendo acceso cervello e senso critico. Non sarà certo una maialina bidimensionale a far perdere la gioia o la fede ai vostri bambini.
State attenti a queste eminenze grigie e ai loro stupidi diktat e non lasciate mai troppo da soli i ragazzini davanti ad uno schermo, che sia del PC o della TV.
Leggete qui questo articolo assurdo, se vi va. “Guarda e passa”, faceva dire Dante a Virgilio.
http://m.leggo.it/articolo.php?id=424037